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27 ago 2010
NON CREDETE CHE ORA DI PRENDERLA CON FILOSOFIA......E ALLORA PAUSA "CREATIVA".....E' VERAMENTE DA VEDERE
IL COMMENTO:
E' GENIALE, DIVERTENTE, SIMPATICO, STUPIDO COME NESSUNO.....IN UNA PAROLA: FA-VO-LO-SO!
QUANDO FELTRI PICCHIAVA SU BERLUSCONI
Storia di una prima vita da feroce antiberlusconiano
di Massimo Fini
A scartabellare vecchi giornali viene il magone, soprattutto se vi si è lavorato, ma si trovano a volte delle cose divertenti oltre che istruttive. Leggete qui.
"Diconsi quattordici anni. Durante i quali la Rai ha mantenuto gli antichi privilegi (canone, diretta, deficit ripianato dallo Stato) e la Fininvest ne ha scippati vari per sé, complici i partiti, la Dc, il Pri, il Psdi, il Pli e il Pci, con la loro stolida inerzia, e il Psi con il suo attivismo furfantesco, cui si deve tra l'altro la perla denominata 'decreto Berlusconi' cioè la scappatoia che consente all'intestatario di fare provvisoriamente i propri comodi in attesa che possa farseli definitivamente.
Decreto elaborato in fretta e furia nel 1984 ad opera di Craxi in persona, decreto in sospetta posizione di fuorigioco costituzionale, decreto che perfino in una repubblica delle banane avrebbe suscitato scandalo e sarebbe stato cancellato dalla magistratura in un soprassalto di dignità e che invece in italia è ancora spudoratamente in vigore senza che i suoi genitori siano morti suicidi per la vergogna. Niente. Non soltanto non sono morti, ma sono ancora lì, in piena salute, a far danni alla collettività, col pretesto di curarne gli interessi, interessi che sarebbero gli stessi, secondo loro, del dottor Silvio di Milano due, il quale pretende tre emittenti, pubblicità pressoché illimitata, la Mondadori, un quotidiano e alcuni periodici. Poca roba. Perchè non dargli anche un paio di stazioni radiofoniche, il Bollettino dei naviganti e la Gazzetta Ufficiale, così almeno le leggi se le fa sul bancone della tipografia? Poichè nemmeno il garofano, pur desiderandolo, ha osato chiedere tanto per l'amico antennuto, cosa che avrebbe impedito ogni spartizione per esaurimento del materiale da spartire, eccoci giunti allo sgradito momento della resa dei conti: il varo dei capolavori di Mammì, che non è il titolo di una canzonetta, ma il ministro delle Poste, colui che ha scritto sotto dettatura il testo per la disciplina dell'etere (L'Europeo, 2 agosto 1990).
QUANDO VITTORIO FACEVA L'ANARCHICO
Di chi è questa prosa scintillante e allegramente e ferocemente antiberlusconiana e anticraxiana? Di Vittorio Feltri. Era quello il Feltri che amavo, anarchico di destra, certamente, ma sul quale non era ancora passato il berlusconismo, col quale ho vissuto due stagioni straordinarie all'Espresso e all'Indipendente. Siamo due calciatori che hanno lo stesso linguaggio tecnico, anche se il ruoli diversi, e che si intendono a meraviglia. Anche quando lasciò l'Indipendente per il Giornale, e io l'avevo trattato ripetutamente da "traditore", da "canaglia", da "furfante" (e lui è permalosissimo come una donna) tutte le volte che ho avuto bisogno di piazzare un pezzo che nessun altro giornale avrebbe osato pubblicare ho chiesto ospitalità a Feltri. Perchè tutto si può dire di Vittorio tranne che non abbia l'intuitaccio del giornalista, quello delle Fallaci, dei Montanelli, dei Malaparte, insomma dei grandi e dei grandissimi del nostro mestiere.
La stagione veramente indimenticabile è stata quella dell'Indi. Nel giro di un anno e mezzo, dal marzo del '92 all'autunno del '93, passammo, sotto la sua direzione, dalle 19500 copie cui l'aveva lasciato l'ectoplasma similanglosassone Ricardo Franco Levi alle 120mila, una cavalcata che non ha precedenti nella storia del giornalismo italiano (speriamo che il record possa essere superato dal Fatto, che per molti versi, anche se qualcuno storcerà il naso, si apparenta a quell'Indipendente. Travaglio dice che ci siamo vicini, ma sull'entusiasmo di Marco bisogna fare sempre un pò di tara).
L'AVVENTURA DE "L'INDIPENDENTE"
Gli inizi furono difficilissimi. Si diceva che il giornale avrebbe chiuso ad aprile, dopo un mese. Ma vennero le elezioni del 5 aprile con la travolgente avanzata della Lega. E sia Feltri che io, quando stavamo ancora all'Europeo, eravamo stati fra i pochissimi giornalisti, con Giorgio Bocca,a guardare il fenomeno Lega con quell'attenzione che sempre si dovrebbe alla realtà senza pregiudizi e sciocche demonizzazioni, e ci trovammo quindi in "pole position". La vittoria della Lega scatenò Mani Pulite e Mani Pulite scatenò l'Indi, anche perchè gli altri giornali, tutti compromessi col vecchio regime, avevano il treno a mano tirato. Inoltre, con la caduta della Prima Reubblica, molti lettori avevano aperso i loro punti di riferimento e venivano da noi. Così potevamo scrivere le cose che gli piaceva sentirsi dire ma anche le cose che non gli piaceva sentirsi dire. Il giornale era tendenzialmente liberista ma io vi scrivevo i miei pezzi anti-mercato e antindustrialisti e questo portava un altro tipo di lettori. Arrvarono editorialisti da ogni dove, di destra e di sinistra. Fare parte del giro dell'Indi era diventata una moda. Feltri orchestrò magistralmente questa polifonia di voci. Il giornale manteneva una sua fisionomia inconfondibile: quella del suo direttore, che si era inventato il "feltrismo". Davanti a noi si stendevano praterie. Se Montanelli veniva via dal Giornale (col quale eravamo già in fase di sorpasso), come pareva inevitabile, ci sarebbero arrivati altri 30 o 40mila lettori senza colpo ferire. Feltri si lamentava che Zanussi non era un vero editore, che non capiva nulla, che non gli dava i rinforzi necessari. Io replicavo che l'assoluta libertà di cui godevamo (quando fu arrestato l'amministratore del nostro giornale sparammo la notizia in testa alla prima pagina) era un "fattore del prodotto" più importante dei rinforzi. Eravamo un pò sgangherati, certo, ma liberi.
E questo il lettore lo percepiva e ci passava sopra. Insomma, per parafrasare l'Hemingway di Festa mobile, quelli erano "i bei tempi andati, quando eravamo molto poveri e molto felici". E lo era anche Vittorio che pur, di suo, ha una natura profondamente melanconica.
LA TENTAZIONE DEL "GIORNALE"
Ma qualcosa cominciò a scricchiolare già nell'agosto del '93 quando Feltri mi invitò a cena e mi pose la terrificante domanda: "Se vado al Giornale vieni con me?". Cercai di spiegargli che era un errore, sia in termini generali sia per lui (cosa che successivamente, dopo che ad ogni incontro lo ulceravo con questa questione, ha finito, sia pur a denti stretti, per ammettere). Finimmo quella cena un pò brilli di vino bianco e col suo grido: "In culo al Berlusca, restiamo all'Indi!". Questa scena si ripetè almeno altre due o tre volte. Il giorno dopo l'ultima, conclusasi con lo stesso rituale, firmava per Berlusconi. Dopo è cambiato tutto. Era stato un fan senza riserve di Antonio Di Pietro (che chiamava affettuosamente "Tonino") e di Mani Pulite, con eccessi, lui sì, forcaioli, e divenne nemico acerrimo della Magistratura. Non c'era errore vero o presunto, di magistrato che fosse stato commesso pure in Nuova Zelanda (non dico per dire, c'è stato anche questo) che non fosse sbattuto in prima pagina con critiche feroci e sarcastiche. Divenne un "garantista" a 24 carati (salvo dimenticarsi bellamente di ogni garantismo ora che, per ragioni di scuderia, ha scatenato la "caccia all'uomo" nel confronti di Gianfranco Fini). Era stato un sostenitore appassionato della Lega e le voltò da un giorno all'altro le spalle quando Bossi nel '94 abbattè il governo Berlusconi con quello che resta il suo miglior discorso in Parlamento. Mi ricordo che dopo quell'avvenimento ci trovammo insieme a un dibattito a Bergamo con una platea zeppa di leghisti che lo attaccavano pesantemente come "traditore" e "voltagabbana".
LA SECONDA VITA DA CRAXIANO
Io lo difesi a spada tratta ricordando a quella gente che comunque aveva un debito di riconoscenza con Feltri che aveva difeso la Lega in tempi difficili. E Vittorio, di nascosto, sotto il tavolo, mi prese la mano in segno di riconoscenza. Era anticraxiano e, in omaggio ai trascorsi del Capo, divenne filocraxiano. Insomma nella seconda parte della sua vita ha sconfessato tutta la prima. Uno sfacelo.
Io ho affetto per Vittorio Feltri e lo considero il miglior direttore di giornale della sua generazione e anche di un paio precedenti. E mi fa male al cuore vederlo ridotto a un pitbull di Berlusconi, senza una vera ragione (perchè Feltri, checchè se ne pensi, non è un vero cinico, alla Giuliano Ferrara per intenderci), vederlo sprecare il suo grande talento per un uomo ce non lo merita e non lo vale. Ma così è. Così è la vita che ti costringe, via via, a lasciare anche i compagni che ti sono stati più cari.
23 ago 2010
22 ago 2010
"CARI BERLUSCONI E PREVITI, SIETE QUERELANTI O DELINQUENTI?"
di Massimo Fini
L'Italia è proprio un curioso Paese. Privo, oltre a tutto il resto, di memoria, soprattutto nella sua classe dirigente, politica, intellettuale e giornalistica, come dimostra anche il turibolante e totalitario elogio funebre tributato a Francesco Cossiga pur risalendo le sue malefatte a epoca relativamente recente e quasi tutti vivi i testimoni del tempo. Adesso che è in ballo il tinello del presidente della Camera tutti, non solo i "finiani", ma anche i giornali di sinistra, compreso il nostro, "scoprono" il colossale raggiro che Silvio Berlusconi, in combutta con Previti, operò, nei primi anni '70, ai danni della marchesina Annamaria Casati Stampa scippandole, per un tozzo di pane, la villa di Arcore (3500 metri quadrati), i Tintoretto, i Tiepolo, i Luini che la arredavano, un parco di un milione di metri quadrati e un immenso terreno di 2.466.000 (duemilioniquattrocentosessantaseimila) metri quadrati nel comune di Cusago (alla cifra di 500 milioni di lire). Di tutte le nefandezze attribuite a Berlusconi questa è, dal punto vista morale, la più ripugnante e grave. Qui infatti non ci troviamo di fronte ad un imprenditore che pur di mandare avanti la sua azienda si muove ai limiti della legalità e ogni tanto li oltrepassa, unge le ruote, paga qualche mazzetta ai finanzieri, gonfia le fatture per sfuggire al Fisco e precostituirsi fondi neri e magari, in seguito, corrompe un testimone per salvarsi dalle inchieste della magistratura, tutte cose che (corruzione di testimoni a parte, almeno spero) fanno parte di un collaudato malcostume imprenditoriale ma che sono così generalizzate ed entrate nella consuetudine della società italiana da non essere più percepite nella loro reale gravità. Qui ci sono due figuri che approfittano di una ragazzina, all'inizio della vicenda minorenne, diventata improvvisamente orfana di padre e di madre nel più traumatico dei modi. Al marchese Casati Stampa piaceva infatti guardare la bella moglie mentre se la faceva con dei giovani amanti. Ma un giorno, nel 1970, il gioco pericoloso gli sfuggì di mano. La donna si innamorò di uno di questi amanti occasionali e il marchese, pazzo di gelosia, uccise la moglie, il giovane e poi si suicidò. Per sfuggire all'enorme scandalo e ritrovare un pò di serenità Annamaria riparò in Brasile. E così Previti, che della giovane era stato protutore, e Berlusconi ebbero mano libera.
L'INCHIESTA DI "GENTE"
Ma la cosa curiosa, diciamo così, è che la vicenda della villa di Arcore e annessi era nota e pubblica già nel novembre 1994. L'aveva raccontata e documentata, in modo accuratissimo, un coraggioso giornalista di Gente (per la verità sarebbe stettato a cronisti di altro tipo di giornale fare inchieste di questo genere), giovanni Ruggeri, che le "vispe Terese" di oggi non hanno nemmeno la buona creanza di ricordare, in un capitolo del suo libro ("Gli affari del Presidente") intitolato "Il grande imbroglio". Solo l'Espresso riprese la vicenda. Berlusconi, allora presidente del Consiglio, non mosse orecchia. E non la muoverà mai (lo aveva fatto preventivamente quando La Notte, intervistando Ruggeri, aveva dato alcune anticipazioni, con una telefonata minacciosa al direttore, Pero Giorgianni, urlandogli: "Io la riduco in povertà". E Giorgianni aveva risposto: "Non può, presidente. Sono già povero"). Previti, ministro della Difesa, aveva annunciato una querela. Poi tutto era caduto nel dimenticatoio. Fui io, sei mesi dopo, a riportare a galla la vicenda della villa di Arcore quando mi capitò fra le mani per caso, il libro di Ruggeri (in genere non sono appassionato di questo tipo di pubblicistica) e lessi quella sconvolgente storia. SCrissi un fondo, sull'Indipendente, intitolato "Cari Berlusconi e Previti, siete querelanti o delinquenti?". (L'Indipendente, 5/6/1994. L'articolo, se interessa, è disponibile nel mio ultimo libro "Senz'anima", del maggio di quest'anno). Vi raccontavo per filo e per segno la storia, riprendendola da Ruggeri, e chiedevo a Berlusconi e Previti se avessero querelato il collega che li aveva così infamati (in realtà sapevo benissimo che non l'avevano fatto) perchè "la cittadinanza non può essere lasciata nel dubbio che un ex presidente del Consiglio, candidato a ridiventarlo, e un ex ministro della Difesa siano dei truffatori, dei delinquenti, dei criminali di diritto comune. Aspettiamo fiduciosi una risposta". Berlusconi, al solito, rimase silente. Previti pure. SCrissi un secondo fondo ripetendo la domanda. Previti rispose con un fax contorto e ingarbugliato,dove, giocando sui gerundi, non faceva capire se avesse o no proposto querela. Infine a un mio terzo fondo, tirato per i capelli e solo in quel momento (erano passati sei mesi dalla pubblicazione del libro) si decise ad agire contro Ruggeri, contro l'Espresso e contro di me. Ma non con una querela penale con cui da che mondo è mondo (pardon: fino ad allora) si tutela la propria reputazione e che vuole l'accertamento della verità dei fatti, ma con un'azione civile di danno per diffamazione dove il focus è soprattutto sul danno e anche un ladro chiamato ladro può essere danneggiato se ciò è avvenuto "in termini non continenti". Così vuole la nostra legge. Il tribunale civile di Roma, con sentenza del 3/12/1999, assolve Ruggeri e L'Espresso avendo ritenuto il giudice, Franca Mangano, "non contestabile la sostanziale veridicità, quanto meno putativa" dei fatti raccontati da Ruggeri. Condannò invece me argomentando che poichè la querela è un diritto, e non un dovere, del cittadino, non potevo trarre dalla sua mancata proposizione da parte di Previti (e implicitamente di Berlusconi) le conclusioni che ne avevo tratto.
LA BATTAGLIA GIUDIZIARIA
Io avevo le mani legate perchè ero stato condannato, sia pur con una motivazione abbastanza bizzarra (non potevo trarre conclusioni che lo stesso tribunale riteneva veritiere). Mi stupì però che l'Espresso, che aveva vinto la causa e di questa importanza, non la cavalcasse e rimanesse in silenzio. In quanto a Ruggeri era stato intimidito a tal punto che scrisse un comunicato in cui diffidava chiunque di fare riferimento al suo libro. Il che è, a dir poco, singolare. Del resto lo stesso Ruggeri mi aveva raccontato che quando aveva parlato con la Casati Stampa - che nel frattempo aveva sposato un Donà delle Rose e si era rifatta una vita in Brasile - le era parsa molto timorosa. Aveva paura dei due. Soprattutto di Previti. E la sua testimonianza per rogatoria, resa in Appello, è piena di "non ricordo" assai strani e al limite della reticenza. Io ho fatto appello ed è cominciata una lunghissima causa durata 10 anni, che mi è costata tempo, fatica, denaro, stress, senza che nessun giornale o politico d'opposizione mi venisse di rincalzo, lasciandomi solo in questa battaglia. Finchè la Corte d'Appello di Roma, con sentenza dell'8 ottobre 2008, mi ha assolto avendo ritenuto legittime le domande che avevo posto a Previti e Berlusconi perchè di interesse pubblico. Adesso arrivano gli "antemarcia" del dopo, categoria storica in Italia, e "scoprono" la storia della villa di Arcore. Ho detto, all'inizio, che questo è un Paese che, nella sua classe dirigente, è senza memoria. Non è esatto. Politici e giornalisti dimenticano o ricordano a seconda di comodo, convenienza, momento. Che non è un bel modo di fare politica e tantomeno del buon giornalismo.
21 ago 2010
CARO MARINO, PARLIAMO DI FINI
di Loris Mazzetti
Caro Senatore Marino, mi rovolgo a lei perchè la ritengo uno dei pochi politici non inquinati: per lei buongiorno significa ancora buongiorno. La sento lontana dal dibattito che in questi giorni corre lungo l'intera penisola: tutto è lecito pur di mandare a casa Berlusconi, anche fare squadra con chi è stato l'erede di Almirante che fu ufficiale della Repubblica di Salò, Gianfranco Fini. Più di ogni altro dirigente del Pd lei rappresenta la base, quel popolo straordinario che ancora con grande entusiasmo dà vita alle feste dell'Unità o del Pd. Donne e uomini che in tutti questi anni hanno accettato ogni decisione della classe dirigente. La Cosa uno, poi la Cosa due, dal Pds ai Democratici di sinistra, infine il matrimonio con la Margherita e la nascita del Pd. Hanno continuato a cucinare anche quando hanno capito che il nuovo partito li avrebbe portati a vivere sotto lo stesso tetto con: ex democristiani, socialisti craxiani, industriali, ma anche con ex piduisti, tanti massoni e qualche pregiudicato.
LA TENTAZIONE DEL COMPROMESSO
Molti degli attuali dirigenti vivono nel compromesso da quando hanno governato il Paese, hanno volutamente evitato di realizzare la legge sul conflitto di interessi che avrebbe risolto il problema della nostra democrazia. Le ricordo le parole di Violante pronunciate nel 2003 durante un intenvento alla Camera: "Sin dal 1994 Berlusconi aveva avuto la garanzia che le sue tv non sarebbero state toccate". Quel popolo straordinario di volontari che serve ai tavoli un piatto di linguine allo scoglio e uno di salsiccia alla griglia, rinunciando alle ferie, si chiede perchè nonostante quello che magistrati e giornalisti hanno scoperto del mondo berlusconiano (escort, ricatti di ogni genere, P2, P3, cricche varie, protezioni incivili, corruzione da far invidia a Tangentopoli), per mandare a casa il governo dei Scajola, Verdini, Cosentino, Bertolaso, Dell'Utri, Brancher, il Pd ha bisogno di Gianfranco Fini. Bersani e Letta sono stati chiari, con Fini la nuova alleanza, e se ci saranno anche Casini e Rutelli l'alleanza diventerà santa. A quei compagni che hanno fatto la Resistenza, che credono nella Costituzione, nella giustizia sociale, nella "questione morale" di Berlinguer, nella memoria di Falcone e Borsellino come valore, nella forza della parola di Saviano, nella ricerca della verità che deve essere al primo posto, come giustificherà la scelta della santa alleanza? Citerà Montanelli e il suo "turiamoci il naso"?
LA VIOLENZA DEL GANGSTER
Caro Senatore, lei si rende conto che è a loro che bisognerà spiegare che per sconfiggere Berlusconi è necessario sedersi a tavola, sedia contro sedia, gomito contro gomito, con il cofondatore del Popolo della libertà, che non si chiama Paolo, che non ha viaggiato sulla strada di Damasco e che non è stato folgorato. Fini ha impiegato ben diciassette anni per convertirsi, ha impiegato diciassette anni per convertirsi, ha impiegato diciassette anni per capire che Berlusconi è un plurinquisito, e, per salvarlo dalla galera, si è reso disponibile a votare 39 leggi ad personam. E' stato colluso per diciassette anni con un, come lo ha definito Flores D'Arcais, "gangster al potere". Il presidente della Camera, sta vivendo un periodo difficile (lo strappo da Berlusconi, affari immobiliari da chiarire meglio, le volgarità dei giornali della famiglia del Cavaliere contro la moglie), sta provando sulla sua pelle la violenza del "gangster", come tanti altri prima di lui, in quei casi però, si è girato dall'altra parte e ha fatto la figura della bertuccia: non vedo, non sento, non parlo. Questo sarebbe il futuro alleato da proporre ai volontari delle feste? E' certo che non ci sia un alternativa al metodo Montanelli? Vogliamo parlare dei fatti accaduti nel 2001 al G8 di Genova? Qui neanche una pozione magica è in grado di giustificare la presenza di Fini (allora vice di Berlusconi alla presidenza del Consiglio), nella sala controllo della Questura, mentre la polizia per le strade eseguiva ordini che ricordano il Pinochet degli anni migliori. Ritorniamo alla tavola. Di fianco c'è Fini, e ci stiamo turando il naso, se di fronte capitano alcuni suoi camerati d'avventura come Enzo Raisi (quello che da anni lotta per far togliere dalla lapide, che ricorda le vittime del 2 agosto 1980, la dicitura: "strage fascista") o Fabio Granata (pupillo, insieme con il sindaco Alemanno, di Pino Rauti il fondatore di Ordine Nuovo), cosa consiglia di fare? Non crede che le alleanze potrebbero essere diverse se si ha la volontà di guardare da un'altra parte? Lei potrebbe dare l'esempio cominciando a dialogare con chi ha dimostrato di essere trasparente e senza scheletri nell'armadio, come Luigi De Magistris, Sonia Alfano, Debora Serracchiani, Giuseppe Lumia, Beppe Giulietti, con il partito di Vendola e Fava, e soprattutto con la società civile che è stanca di assistere agli intrallazzi dei partiti. Forse non ci sarebbe bisogno di una tavola traballante sin dall'inizio e sarebbe una risposta a tutti quelli che da anni aspettano, come Nanni Moretti, che qualcuno dica qualche cosa di sinistra.
nella foto: Loris Mazzetti (giornalista)
20 ago 2010
FAREPASSATO
di Marco Travaglio
Sarebbe facile maramaldeggiare sui finiani di Farefuturo che, a 16 anni dalla cacciata di Montanelli dal Giornale che aveva fondato e non voleva trasformare in quel che è diventato, riabilitano il grande Indro. Facile irridere alla scoperta tardiva della vera natura del berlusconismo, un mix di "dossieraggio, ricatti, menzogna per distruggere l'avversario, propaganda stupida e intontita, slogan, signorsì e canzoncine ebeti". Facile farsi beffe di chi, dal 1994 a oggi, ha scambiato B. per un potenziale "grande politico e statista", un "leader atipico ma liberale". Facile ricacciare questa parte della destra italiana nelle fogne del neofascismo da cui molti suoi esponenti provengono. Facile, ma anche ingiusto. Per diversi motivi.
1) Il brusco distacco, non solo politico ma anche culturale, dal Caimano e dalle sue putride paludi non è roba da voltagabbana a caccia di prebende e poltrone: anzi, se cercassero quelle, i finiani sarebbero rimasti con B., ben protetti dai suoi scudi giudiziari e mediatici, anzichè offrire il petto ai suoi killer catodici e a mezzo stampa. Quando uno cambia idea, bisogna sempre controllargli la bottega e virificare si gli conviene o no. Ai finiani non conviene affatto, anzi conveniva restare dov'erano.
2) L'autocritica, almeno a giudicare dalle parole di Farefuturo, non è una disinvolta operazione di facciata, come quella di tanti che dall'oggi al domani cominciano a dire il contrario di quel che dicevano ieri, con l'aria spocchiosa dei maestri che hanno sempre ragione anche se hanno sempre avuto torto.
Farefuturo riscrive il recente passato, confessa un "senso di colpa per non aver capito prima, per non aver saputo e voluto alzare la testa", riconosce che "oggi che gli editti toccano da vicino, è fin troppo facile cambiare idea" e persino che "ha ragione chi dice: perchè non ci avete pensato prima?", infine ammette che "non c'è una risposta che non contempli un pizzico di vergogna. Una vergogna che, però, non prevede ora il silenzio, il ripetersi di un errore". Chi parla così merita un'apertura di credito: cioè di essere giudicato non da quel che ha fatto ieri, ma da quel che farà domani (specie in tema di libertà d'informazione e legalità).
3) I finiani non si limitano a difendere Fini, ora che il killeraggio colpisce lui (troppo comodo), ma hanno il coraggio di ricordare il punto più basso del regime: "Il pensiero corre all'editto contro Biagi, Luttazzi e Santoro". Citano cioè tre personaggi lontanissimi dal mondo della destra, che nel 2002 subirono insieme al loro pubblico l'affronto più sanguinoso: il divieto di lavorare in tv per averne fatto un "uso criminoso" (lesa maestà), divieto che per Luttazzi perdura tuttora.
4) L'autocritica non proviene dai killer, tutti rimasti per selezione naturale alla corte di B., ma da chi appunto ha taciuto per troppi anni sui killeraggi, senza osare "alzare la testa", e ora che lo fa ne assaggia le prime conseguenze.
5)L'autocritica dei finiani, per quanto tardiva, è comunque in anticipo rispetto a tanti "intellettuali" sedicenti "liberali e/o "terzisti" che da 16 anni tengono il sacco e fanno da palo a B. paraculeggiando e pompiereggiando con una finta indipendenza che è anche peggio del berlusconismo, perchè non ci mette neppure la faccia. Per non parlare dei dirigenti e delle teste d'uovo del centrosinistra "riformista" e della sinistra "radicale" che hanno screditato il valore dell'antiberlusconismo come "demonizzazione" e "giustizialismo", l'hanno sacrificato sull'altare delle bicamerali, del "dialogo" sulle "riforme condivise", delle ospitate a Porta a Porta e dei libri Mondadori, non riuscendo o non volendo immaginare una destra diversa da quella abusiva di B. e garantendo lunga vita a B. Oggi dovrebbe vergognarsi e chiedere scusa una vasta e variopinta compagnia. I finiani con tutte le loro magagne, lo stanno facendo mentre B. è vivo e potente. D'Alema & C. e il Pompiere della Sera aspettano il referto del medico legale.
Sarebbe facile maramaldeggiare sui finiani di Farefuturo che, a 16 anni dalla cacciata di Montanelli dal Giornale che aveva fondato e non voleva trasformare in quel che è diventato, riabilitano il grande Indro. Facile irridere alla scoperta tardiva della vera natura del berlusconismo, un mix di "dossieraggio, ricatti, menzogna per distruggere l'avversario, propaganda stupida e intontita, slogan, signorsì e canzoncine ebeti". Facile farsi beffe di chi, dal 1994 a oggi, ha scambiato B. per un potenziale "grande politico e statista", un "leader atipico ma liberale". Facile ricacciare questa parte della destra italiana nelle fogne del neofascismo da cui molti suoi esponenti provengono. Facile, ma anche ingiusto. Per diversi motivi.
1) Il brusco distacco, non solo politico ma anche culturale, dal Caimano e dalle sue putride paludi non è roba da voltagabbana a caccia di prebende e poltrone: anzi, se cercassero quelle, i finiani sarebbero rimasti con B., ben protetti dai suoi scudi giudiziari e mediatici, anzichè offrire il petto ai suoi killer catodici e a mezzo stampa. Quando uno cambia idea, bisogna sempre controllargli la bottega e virificare si gli conviene o no. Ai finiani non conviene affatto, anzi conveniva restare dov'erano.
2) L'autocritica, almeno a giudicare dalle parole di Farefuturo, non è una disinvolta operazione di facciata, come quella di tanti che dall'oggi al domani cominciano a dire il contrario di quel che dicevano ieri, con l'aria spocchiosa dei maestri che hanno sempre ragione anche se hanno sempre avuto torto.
Farefuturo riscrive il recente passato, confessa un "senso di colpa per non aver capito prima, per non aver saputo e voluto alzare la testa", riconosce che "oggi che gli editti toccano da vicino, è fin troppo facile cambiare idea" e persino che "ha ragione chi dice: perchè non ci avete pensato prima?", infine ammette che "non c'è una risposta che non contempli un pizzico di vergogna. Una vergogna che, però, non prevede ora il silenzio, il ripetersi di un errore". Chi parla così merita un'apertura di credito: cioè di essere giudicato non da quel che ha fatto ieri, ma da quel che farà domani (specie in tema di libertà d'informazione e legalità).
3) I finiani non si limitano a difendere Fini, ora che il killeraggio colpisce lui (troppo comodo), ma hanno il coraggio di ricordare il punto più basso del regime: "Il pensiero corre all'editto contro Biagi, Luttazzi e Santoro". Citano cioè tre personaggi lontanissimi dal mondo della destra, che nel 2002 subirono insieme al loro pubblico l'affronto più sanguinoso: il divieto di lavorare in tv per averne fatto un "uso criminoso" (lesa maestà), divieto che per Luttazzi perdura tuttora.
4) L'autocritica non proviene dai killer, tutti rimasti per selezione naturale alla corte di B., ma da chi appunto ha taciuto per troppi anni sui killeraggi, senza osare "alzare la testa", e ora che lo fa ne assaggia le prime conseguenze.
5)L'autocritica dei finiani, per quanto tardiva, è comunque in anticipo rispetto a tanti "intellettuali" sedicenti "liberali e/o "terzisti" che da 16 anni tengono il sacco e fanno da palo a B. paraculeggiando e pompiereggiando con una finta indipendenza che è anche peggio del berlusconismo, perchè non ci mette neppure la faccia. Per non parlare dei dirigenti e delle teste d'uovo del centrosinistra "riformista" e della sinistra "radicale" che hanno screditato il valore dell'antiberlusconismo come "demonizzazione" e "giustizialismo", l'hanno sacrificato sull'altare delle bicamerali, del "dialogo" sulle "riforme condivise", delle ospitate a Porta a Porta e dei libri Mondadori, non riuscendo o non volendo immaginare una destra diversa da quella abusiva di B. e garantendo lunga vita a B. Oggi dovrebbe vergognarsi e chiedere scusa una vasta e variopinta compagnia. I finiani con tutte le loro magagne, lo stanno facendo mentre B. è vivo e potente. D'Alema & C. e il Pompiere della Sera aspettano il referto del medico legale.
16 ago 2010
13 ago 2010
L'IMPERO B.: SOCIETA' OFFSHORE, MILIARDI CRIPTATI E "VECCHI AMICI"
I finiani: "Il premier non ha mai chiarito le origini delle proprie ricchezze".
Le holding, Fininvest e le accuse di fondi neri.
di Antonella Mascali
Uomini molti vicini a Gianfranco Fini si dicono "sbalorditi" da un Berlusconi "sorpreso" per la minacciata controffensiva della pattuglia del presidente della Camera. "Siamo stati zitti finora per la lealtà alla maggioranza, ma adesso potremmo dire le cose di cui parla la sinistra con un peso maggiore perchè dentro la coalizione - avvertono gli ambienti più vicini al presidente della Camera - Basta con questa campagna martellante contro Fini, cominciata con l'editoriale di Feltri su presunti dossier a luci rosse. Anche perchè tutti hanno la consapevolezza che il presidente del Consiglio ha di gran lunga più problemi del presidente della Camera". Effettivamente il Cavaliere è preoccupato del possibile boomerang che potrebbe arrivargli addosso se insiste con la storia delle dimissioni di Fini. La parola "offshore" e "inizio della sua attività imprenditoriale" pronunciate dal deputato di Futuro e Libertà, Carmelo Briguglio, insieme a "chiarimento", devono avergli fatto capire che non può forzare la mano. Anche perchè lui non ha mai voluto chiarire un bel niente.
SILENZIO SUI BUCHI NERI
A cominciare dai 113 miliardi di lie confluiti nelle holding della Fininvest. Soldi, secondo la Procura di Palermo, la cui provenienza è dubbia. Berlusconi per questo filone d'inchiesta - scaturito da quello su Marcello Dell'Utri è stato indagato, ma gli stessi pm hanno chiesto e ottenuto l'archiviazione per insufficienza di prove. Il Cavaliere durante l'indagine avrebbe però potuto svelare il mistero sulle origini del suo patrimonio e invece, dopo aver preteso la trasferta dei magistrati a palazzo Chigi, nel 2002, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Una circostanza definita allora da Ingroia "un'occasione mancata per il chiarimento di alcuni buchi neri, come quello dell'assunzione e dell'allontanamento di Vittorio Mangano (il boss di Cosa Nostra travestito da stalliere ad Arcore ndr), o dei bilanci delle holding Fininvest". Dai soldi "oscuri" ai fondi neri il passo è breve. E Berlusconi l'ha compiuto a metà anni '90 servendosi dell'avvocato inglese David Mills, un vero architetto delle sue società offshore che gli hanno permesso di accantonare centinaia di miliardi di lire, di evadere il fisco, di pagare mazzette, come i 21 miliardi a Bettino Craxi, di eludere la legge Mammì che all'epoca impediva a un editore di avere più di 3 televisioni. Berlusconi invece era anche l'azionista di maggioranza, occulto, di Telepiù. La sentenza di primo grado del processo Fininvest-Gdf del '96 ha stabilito che alcuni militari delle fiamme gialle si sono fatti corrompere proprio per non indagare sulle offshore del biscione. In appello e in Cassazione le prove per condannare Berlusconi non sono state ritenute sufficienti.
In secondo grado ha contribuito alla sua salvezza la falsa testimonianza di Mills del novembre '97. Sappiamo adesso che per quella, come per un'altra falsa deposizione, al processo All Iberian, gennaio '98, il legale ha avuto 600mila dollari. Ai giudici milanesi l'avvocato ha nascosto tra l'altro anche i reali beneficiari di "Century One" ed "Universal One", le due offshore intestate a Marina e Piersilvio Berlusconi, per decisione del padre. Un fatto che scopriranno diversi anni dopo i pm Fabio De Paquale e Alfredo Robledo.
LA LEGGE E GLI INGANNI
Maxi evasore, l'ha fatta franca anche con la sua legge che ha depenalizzato il falso in bilancio. E' stato assolto al processo All Iberian 2 perchè "il fatto non costituisce più reato", ma i bilanci erano truccati per 1500 miliardi di lire. I falsi in bilancio, conseguenza del vizietto delle offshore, hanno portato ad un altro processo: quello per la compravendita dei diritti tv di Mediaset. Ma grazie ad un'altra delle leggi ad personam, la ex Cirielli, che ha accorciato la prescrizione, sono state azzerate la frode fiscale per 120 miliardi di lire e l'appropriazione indebita per 276 milioni di dollari, fino al 1999. Restano in piedi quelle fino al 2003. Una costola di questa indagine è quella denominata "Mediatrade-Rti" in fase di udienza preliminare (tutto è bloccato sempre per il legittimo impedimento). Berlusconi è accusato di appropriazione indebita e frode fiscale. Mentre il figlio Piersilvio e il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri di frode fiscale. Secondo la procura di Milano, Mediaset avrebbe nuovamente falsificato i bilanci e gonfiato i costi per l'acquisto di diritti tv da major americane. I soldi, 100 milioni di dollari, sarebbero transitati su banche estere, e in gran parte, confluiti su conti riconducibili a Berlusconi e ad alcuni suoi manager. Contestate operazioni tra il 2002 e il 2005 ma a Piersilvio Berlusconi come presidente di Rti e vice presidente di Mediaset vengono imputate evazioni fiscali fino al 30 settembre 2009.
RUSSIA-LIBIA
Un'altra "arma" brandita dai finiani è quella di parlare di rapporti Berlusconi-Putin non di pura amicizia. L'allusione potrebbe essere, per esempio, a indiscrezioni circolate l'anno scorso quando Berlusconi andò nella sua dacia vicino a San Pietroburgo. Il premier avrebbe chiesto la prestazione di agenti segreti russi per proteggerlo da presunti complotti contro il suo governo. In quei giorni, ottobre 2009, l'allora presidente del Copasir, Francesco Rutelli ricorda che Berlusconi ha cancellato una "colazione ufficiale con in re di Giordania accampando un torcicollo" e pochi minuti dopo è partito per la Russia. "Mi chiedo se affronti affari che interessano il Paese o che lo interessano personalmente". Quanto ai riferimenti, sempre da ambienti finiani, ad affari Berlusconi-Gheddafi, il primo ad occuparsene è stato il quotidiano inglese The Guardian l'anno scorso con un articolo dal titolo "La Gheddafi-Berlusconi connection". Ovvero una società libica, Lafitrade, ha acquisito il 10% della Quinta Comunication, del produttore cinematografico Tarak Ben Ammar, amico di Berlusconi. Lafitrade è controllata da Lafico, della famiglia Gheddafi. L'altro socio della Quinta Comunication, secondo il Guardian, è "con circa il 22 per cento", una società registrata in Lussemburgo di proprietà della Fininvest. Inoltre Quinta Comunication e Mediaset possiedono il 25% a testa di una televisione satellitare araba, la Nessma Tv, che trasmette anche in Libia. Ecco perchè Berlusconi sembra voler abbassare i toni, lui che di ha sempre tenuti altissimi.
COMMENTO:
dopo una veloce letta all'articolo, non trovate alquanto ridicolo l'intestardimento di B. nei confronti di Fini per un misero appartamento a Montecarlo, quando lui.....con tutte queste popò di pendenze giudiziarie dovrebbe essere a dimora nelle patrie galere già da tempo? Italiani.....il prosciutto si mangia...non si mette sugli occhi.
Le holding, Fininvest e le accuse di fondi neri.
di Antonella Mascali
Uomini molti vicini a Gianfranco Fini si dicono "sbalorditi" da un Berlusconi "sorpreso" per la minacciata controffensiva della pattuglia del presidente della Camera. "Siamo stati zitti finora per la lealtà alla maggioranza, ma adesso potremmo dire le cose di cui parla la sinistra con un peso maggiore perchè dentro la coalizione - avvertono gli ambienti più vicini al presidente della Camera - Basta con questa campagna martellante contro Fini, cominciata con l'editoriale di Feltri su presunti dossier a luci rosse. Anche perchè tutti hanno la consapevolezza che il presidente del Consiglio ha di gran lunga più problemi del presidente della Camera". Effettivamente il Cavaliere è preoccupato del possibile boomerang che potrebbe arrivargli addosso se insiste con la storia delle dimissioni di Fini. La parola "offshore" e "inizio della sua attività imprenditoriale" pronunciate dal deputato di Futuro e Libertà, Carmelo Briguglio, insieme a "chiarimento", devono avergli fatto capire che non può forzare la mano. Anche perchè lui non ha mai voluto chiarire un bel niente.
SILENZIO SUI BUCHI NERI
A cominciare dai 113 miliardi di lie confluiti nelle holding della Fininvest. Soldi, secondo la Procura di Palermo, la cui provenienza è dubbia. Berlusconi per questo filone d'inchiesta - scaturito da quello su Marcello Dell'Utri è stato indagato, ma gli stessi pm hanno chiesto e ottenuto l'archiviazione per insufficienza di prove. Il Cavaliere durante l'indagine avrebbe però potuto svelare il mistero sulle origini del suo patrimonio e invece, dopo aver preteso la trasferta dei magistrati a palazzo Chigi, nel 2002, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Una circostanza definita allora da Ingroia "un'occasione mancata per il chiarimento di alcuni buchi neri, come quello dell'assunzione e dell'allontanamento di Vittorio Mangano (il boss di Cosa Nostra travestito da stalliere ad Arcore ndr), o dei bilanci delle holding Fininvest". Dai soldi "oscuri" ai fondi neri il passo è breve. E Berlusconi l'ha compiuto a metà anni '90 servendosi dell'avvocato inglese David Mills, un vero architetto delle sue società offshore che gli hanno permesso di accantonare centinaia di miliardi di lire, di evadere il fisco, di pagare mazzette, come i 21 miliardi a Bettino Craxi, di eludere la legge Mammì che all'epoca impediva a un editore di avere più di 3 televisioni. Berlusconi invece era anche l'azionista di maggioranza, occulto, di Telepiù. La sentenza di primo grado del processo Fininvest-Gdf del '96 ha stabilito che alcuni militari delle fiamme gialle si sono fatti corrompere proprio per non indagare sulle offshore del biscione. In appello e in Cassazione le prove per condannare Berlusconi non sono state ritenute sufficienti.
In secondo grado ha contribuito alla sua salvezza la falsa testimonianza di Mills del novembre '97. Sappiamo adesso che per quella, come per un'altra falsa deposizione, al processo All Iberian, gennaio '98, il legale ha avuto 600mila dollari. Ai giudici milanesi l'avvocato ha nascosto tra l'altro anche i reali beneficiari di "Century One" ed "Universal One", le due offshore intestate a Marina e Piersilvio Berlusconi, per decisione del padre. Un fatto che scopriranno diversi anni dopo i pm Fabio De Paquale e Alfredo Robledo.
LA LEGGE E GLI INGANNI
Maxi evasore, l'ha fatta franca anche con la sua legge che ha depenalizzato il falso in bilancio. E' stato assolto al processo All Iberian 2 perchè "il fatto non costituisce più reato", ma i bilanci erano truccati per 1500 miliardi di lire. I falsi in bilancio, conseguenza del vizietto delle offshore, hanno portato ad un altro processo: quello per la compravendita dei diritti tv di Mediaset. Ma grazie ad un'altra delle leggi ad personam, la ex Cirielli, che ha accorciato la prescrizione, sono state azzerate la frode fiscale per 120 miliardi di lire e l'appropriazione indebita per 276 milioni di dollari, fino al 1999. Restano in piedi quelle fino al 2003. Una costola di questa indagine è quella denominata "Mediatrade-Rti" in fase di udienza preliminare (tutto è bloccato sempre per il legittimo impedimento). Berlusconi è accusato di appropriazione indebita e frode fiscale. Mentre il figlio Piersilvio e il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri di frode fiscale. Secondo la procura di Milano, Mediaset avrebbe nuovamente falsificato i bilanci e gonfiato i costi per l'acquisto di diritti tv da major americane. I soldi, 100 milioni di dollari, sarebbero transitati su banche estere, e in gran parte, confluiti su conti riconducibili a Berlusconi e ad alcuni suoi manager. Contestate operazioni tra il 2002 e il 2005 ma a Piersilvio Berlusconi come presidente di Rti e vice presidente di Mediaset vengono imputate evazioni fiscali fino al 30 settembre 2009.
RUSSIA-LIBIA
Un'altra "arma" brandita dai finiani è quella di parlare di rapporti Berlusconi-Putin non di pura amicizia. L'allusione potrebbe essere, per esempio, a indiscrezioni circolate l'anno scorso quando Berlusconi andò nella sua dacia vicino a San Pietroburgo. Il premier avrebbe chiesto la prestazione di agenti segreti russi per proteggerlo da presunti complotti contro il suo governo. In quei giorni, ottobre 2009, l'allora presidente del Copasir, Francesco Rutelli ricorda che Berlusconi ha cancellato una "colazione ufficiale con in re di Giordania accampando un torcicollo" e pochi minuti dopo è partito per la Russia. "Mi chiedo se affronti affari che interessano il Paese o che lo interessano personalmente". Quanto ai riferimenti, sempre da ambienti finiani, ad affari Berlusconi-Gheddafi, il primo ad occuparsene è stato il quotidiano inglese The Guardian l'anno scorso con un articolo dal titolo "La Gheddafi-Berlusconi connection". Ovvero una società libica, Lafitrade, ha acquisito il 10% della Quinta Comunication, del produttore cinematografico Tarak Ben Ammar, amico di Berlusconi. Lafitrade è controllata da Lafico, della famiglia Gheddafi. L'altro socio della Quinta Comunication, secondo il Guardian, è "con circa il 22 per cento", una società registrata in Lussemburgo di proprietà della Fininvest. Inoltre Quinta Comunication e Mediaset possiedono il 25% a testa di una televisione satellitare araba, la Nessma Tv, che trasmette anche in Libia. Ecco perchè Berlusconi sembra voler abbassare i toni, lui che di ha sempre tenuti altissimi.
COMMENTO:
dopo una veloce letta all'articolo, non trovate alquanto ridicolo l'intestardimento di B. nei confronti di Fini per un misero appartamento a Montecarlo, quando lui.....con tutte queste popò di pendenze giudiziarie dovrebbe essere a dimora nelle patrie galere già da tempo? Italiani.....il prosciutto si mangia...non si mette sugli occhi.
12 ago 2010
PREVITI & RICATTI: E' IL SUO METODO
Alexander Stille: quella villa come è stata comprata?
di Gianni Barbacetto
Alexander Stille le conosce bene, le gesta del Citizen Berlusconi che ha raccontato nel suo libro. E ricorda bene anche le manovre con cui è riuscito a entrare in possesso della villa di Arcore, a proposito di case finite a politici o loro parenti. Dagli Stati Uniti, dove vive e lavora (giornalista, docente di Giornalismo alla Columbia University), continua a seguire giorno per giorno la situazione italiana, in questa estate dei ricatti. "E' da 16 anni che l'Italia è il paese dei ricatti: da quando Silvio Berlusconi è entrato in politica. Molti italiano mostrano di non accorgersene, ma è il suo molteplice conflitto d'interessi (padrone delle tv e uomo di governo; imputato e promotore di leggi sulla giustizia...) a rendere innanzitutto lui stesso vulnerabile ai ricatti. Da anni può regalare benefici alle sue aziende. Da anni corre il rischio di andare in galera. In questa situazione, è chiaro che tutta la politica italiana è esposta al rischio di ricatti".
E ora è andato platealmente a far visita a un vecchio amico, Cesare Previti...
Poteva riceverlo di nascosto a Palazzo Grazioli, magari dopo averlo fatto entrare da un ingresso laterale: no, è andato a casa sua con tutte le auto di scorta e i cronisti al seguito. Segno che i rapporto con lui non sono mai finiti. Previti un tempo gli diceva: "Silvio, non hai capito che vogliono colpire me per colpire te?". Non è un caso che Berlusconi abbia pagato le spese legali del suo vecchio amico. E che poi l'indulto del ministro Clemente Mastella, durante il governo Prodi, sia stato allargato fino a salvare anche Previti. Gli uomini vicini a Berlusconi fin dai suoi primi passi, da Previti a Marcello Dell'Utri, fino ad Aldo Brancher, non sono mai stati abbandonati. I ricatti hanno evidentemente condizionato molte delle vicende italiane. Anche Dell'Utri non è stato messo da parte, malgrado una condanna per mafia in appello e il suo coinvolgimento nella cosiddetta P3: quelli che sanno non vengono mai scaricati.
Un Berlusconi ricattabile rende dunque ricattata la politica italiana?
Ricordo un episodio accaduto nel 2005 a Marco Follini, che allora aveva un incarico nel governo Berlusconi. Dopo una sconfitta elettorale alle amministrative, Follini disse che era tempo di passare dalla 'monarchia alla Repubblica'. Silvio replicò: 'Sono contento, vedo che le tv ti trattano bene, che i nostri giornali non ti attaccano. Ma certo, se vai avanti così...'. Follini concluse: 'Vorrei dire che oggi sono stato minacciato'. Questa è la politica italiana. Con un sistema dei media usato come un manganello contro chiunque esca dalla fila.
Oggi si attacca sulla casa, un bene importante, anche simbolicamente, per gli italiani.
Ricordo il ruolo avuto da Previti quando passò a buon prezzo la villa di Arcore a Berlusconi, essendo legale della figlia, erede dei marchesi Casati Stampa, i vecchi proprietari. Un comportamento scorretto: ha favorito il suo nuovo cliente, mentre avrebbe dovuto fare gli interessi della marchesina che rappresentava. Ma nessuno ricorda la scorrettezza precedente: prima di essere l'avvocato dell'orfana, Previti era stato legale degli eredi della moglie uccisa dal marchese Casati Stampa, sostenendo la tesi che l'eredità spettasse a loro, nell'ipotesi (poi rifiutata dai giudici)che la moglie fosse morta dopo il marito, che le aveva sparato e poi si era ucciso. Persa questa causa, Previti passa dall'altra parte e rappresenta la figlia, divenuta legittima erede. Un comportamento professionalmente inaccettabile: non si può passare dall'una all'altra delle parti in conflitto. Doveva essere cacciato dall'albo degli avvocati già allora, senza bisogno di aspettare vent'anni e le condanne nei processi 'toghe sporche'.
Poco chiari anche i comportamenti di Fini, sulla casa di Montecarlo...
Sì, ma un conto è un caso poco limpido, attorno a un appartamento che Fini dice di non avere neppure mai visto. Altro è il caso della villa in cui Berlusconi vive ancora oggi, scippata a un'orfana minorenne. E' una delle caratteristiche di questi anni: attaccano nel settore dove loro sanno di essere più deboli. Il titolare di un conflitto d'interessi macroscopico va a cercare qualche piccolo conflitto d'interessi da rinfacciare poi agli oppositori. E' il metodo Berlusconi, nell'Italia che già Gherardo Colombo descriveva come la Repubblica dei ricatti.
nella foto: Alexander Stille
ITALIANI...IL PROSCIUTTO SI MANGIA, NON SI METTE SUGLI OCCHI.....:-(
AVVERSARI SPIATI.
BERLUSCONI DEVE RISPONDERE.
Dopo le rivelazioni di Briguglio su Servizi deviati e dossier contro i finiani l'opposizione chiede di convocare il Comitato parlamentare di controllo e il premier. Casson: "Guerra per bande" nel Pdl.
di PETER GOMEZ
C'è un motivo preciso per cui la denuncia del deputato di centrodestra Carmelo Briguglio sullo spionaggio organizzato da spezzoni dei Servizi segreti ai danni di "parlamentari non graditi" va presa molto sul serio. Ed è un motivo talmente documentato e circostanziato che dovrebbe spingere al più presto il Copasir - il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, presieduto da Massimo D'Alema - a convocare il premier per chiedergli, in sede istituzionale, chiarimenti e spiegazioni. Ieri Briguglio, che è un membro del Copasir, in un'intervista al Fatto, ha rivelato come vi siano stati dei suoi "colleghi di area finiana spiati e filmati da pezzi deviati dei servizi" e come su di essi siano stati "confezionati dossier". Della cosa, ha aggiunto, se ne sta occupando proprio il Comitato che ha per questo già ascoltato Italo Bocchino. Bene, come è noto, il dossieraggio degli avversari del Cavaliere da parte di 007 non è una novità. Tra il 2001 e il 2006 materiale su chi veniva considerato un nemico di Berlusconi è stato raccolto ed archiviato in un ufficio del Sismi in via Nazionale a Roma, diretto da Pio Pompa. E in qualche caso i dossier si sono poi tramutati in articoli pubblicati da Libero e Panorama. L'intero schedario, nel quale compariva pure uno struggente fax in cui Pompa ricordava al premier di essere un "suo uomo fedele e leale", è stato poi scoperto dalla Digos. Dal blitz è nata a Perugia un'indagine per peculato contro Pompa e il suo superiore, Nicolò Pollari. I due però si sono rifiutati di rispondere alle domande dei pm sostenendo che per difendersi avrebbero dovuto violare il segreto di Stato. E Berlusconi per iscritto ha loro ufficialmente dato ragione. Per il capo del governo, dunque, schedare e spiare gli avversari politici rientra "tra le indispensabili attività istituzionali" dei Servizi. Una tesi da Stato sovietico che il 9 giugno ha spinto il gip a rivolgersi alla Corte costituzionale, sollevando un conflitto di attribuzione. Ma la questione non è solo giuridica. E' politica. Perchè attiene ai diritti e alla libertà dei cittadini. Il premier che ha avallato i dossieraggi di via Nazionale e, forse, lo spionaggio dei finiani, oggi deve spiegare. E il posto giusto per farlo c'è. Si chiama Copasir. Ma deve farlo subito. Prima che la democrazia muoia, uccisa dalla sua macchina del fango.
COMMENTO:
I malati mentali, gli psicolabili, hanno bisogno di strutture adeguate, di professionisti competenti ed affidabili.....non possono occupare cariche istituzionali importanti come quella di capo del Governo. Datemi retta....mandiamolo a casa a riposare!
11 ago 2010
CACCIA AL FINIANO
Briguglio: "Noi spiati da pezzi deviati dei servizi"
Dossier contro i parlamentari non graditi
di Paola Zanca
Sì, ha capito bene. E' stata presentata una denuncia al Copasir per pedinamenti, da parte dei servizi segreti deviati, nei confronti di parlamentari non graditi. Un segnale in perfetta continuità con l'attività di dossieraggio giornalistico contro il presidente Fini". Carmelo Briguglio, non è solo un deputato finiano. Quando racconta queste cose, lo fa da membro del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, il Copasir. Convinto che ci siano ancora in giro pezzi deviati dei servizi segreti" e che siano loro a "confezionare i dossier". La materia la conosce, visto che il Copasir si occupa proprio di "verificare" che l'attività dei servizi si svolga "nell'esclusivo interesse e per la difesa della Repubblica e delle sue istituzioni". E due giorni fa ha confessato il suo "sospetto": non è che dietro i dossier contro Fini, primo su tutti quello sulla casa di Montecarlo, ci siano settori deviati dei servizi segreti? Il Giornale e Libero lo hanno massacrato: "In fondo - ha replicato il quotidiano diretto da Vittorio Feltri - se c'è qualcuno che pensa che il World Trade Center gli americani se lo siano buttato giù da soli, che i finiani tirino fuori il grande classico di ogni stagione italiana, i 'servizi segreti deviati', non stupisce più di tanto".
Onorevole Briguglio, è un teorico del complotto?
No, ho chiesto solo tre cose. E non mi hanno risposto.
Riepiloghiamo.
Ho chiesto se uno dei due giornalisti che conducono l'inchiesta sulla casa a Montecarlo sia un omonimo o un parente dell'ex direttore dei Servizi condannato per l'affaire-Sisde al tempo di Oscar Luigi Scalfaro. Ho sottolineato che le due firme sono state condannate per diffamazione, in un caso proprio per articoli sulle proprietà immobiliari, quella volta di Antonio Di Pietro. E poi ho domandato se è possibile che i fratelli Silvio e Paolo Berlusconi non si parlino mai, se non scambino nemmeno una parola sulla linea editoriale de Il Giornale.
Massimo Malpica ieri al Fatto ha detto che pensare che lui abbia scritto in qualità di nipote di 'quel' Malpica, Riccardo, lo fa 'solo sorridere'. Ma in passato di contatti tra i servizi e il mondo dei giornalisti si è parlato eccome: prendiamo Renato Farina, l'agente Betulla...
Ogni qualvolta che ci sono vicende ad alta tensione politica spunta sempre una manina, con carte di natura scandalistica che poi, come è già successo nel caso Boffo, si risolvono in un nulla di fatto. Ma nel frattempo hanno raggiunto il loro obiettivo: dire che nella notte tutti i gatti sono grigi.
A proposito di notte. Una settimana fa FareFuturo scriveva che "ci sono cronisti sguinzagliati", che "per le strade e per i vicoli di questo Paese si muove un nugolo di bravi. Come segugi, armati di veleno e affamati di fango".
Io parlo di vicende che sono state portate all'attenzione degli organi competenti, compreso il Copasir. Ci osno stati colleghi parlamentari di area finiana che sono stati spiati e fimati da pezzi deviati dei servizi. E' un fatto che è stato denunciato. Fanno così, organizzano pedinamenti dei parlamentari non graditi, confezionano dossier.
Notizie di un pedinamento nei confronti di Italo Bocchino erano uscite già ad aprile, quando la rottura tra i co-fondatori non si era ancora consumata.
Sì, è stato sentito dal Copasir e ora c'è un indagine interna in corso.
Ci sono altri nomi?
Sono vicende sotto segreto. Diciamo che Bocchino certamente. Che poi non è uno a caso.
E' stato la testa d'ariete nello scontro tra Fini e Berlusconi. E anche su di lui sono partiti i dossier.
Il comportamento del quotidiano di proprietà della famiglia Berlusconi è ancor peggio che sudamericano. Non si è mai visto che il giornale della famiglia del premier - una situazione che in altri paesi sarebbe già inammissibile di per sè - scateni campagne del genere.
Non potevate accorgervene prima?
Le dico una cosa pesante: la destra deve fare autocritica, perchè ha sottovalutato il problema del conflitto d'interessi e lo sta comprendendo in tutta la sua complessità e intensità soltanto adesso.
Fini uscirà a testa alta dalla vicenda Montecarlo?
Vicende del genere possono capitare a chiunque. Sa cosa distingue il comportamento di uno dall'altro? Avere fiducia nella magistratura, non gridare al complotto, ai disegni eversivi della magistratura, non tirare fuori gli alibi di chi non vuole rispondere delle proprie responsabilità. Fini ha avuto un comportamento esemplare.
Voi finiani in questi giorni avete evocato presunti scheletri nell'armadio del premier: i punti irrisolti del caso Noemi, l'acquisto di Villa San Martino ad Arcore, i frequenti incontri con Gheddafi. Che fate, ripagate con la stessa moneta?
Di Arcore e Noemi non so nulla. Io dico quello di cui sono a conoscenza per il ruolo che ricopro. Mi risulta che i nostri tradizionali alleati, parlo degli Stati Uniti, guardino con molto sospetto alle relazioni tra Roma E Tripoli.
Dice che l'alleanza con Gheddafi non è solo per interessi di Stato? Ci sono affari paralleli?
Dico che questi frequenti viaggi reciproci sono un vulnus alle relazioni con i nostri alleati americani. Forse, ai quattro punti della rinnovata agenda di governo, Berlusconi dovrebbe aggiungerne un quinto: quello di una politica internazionale senza relazioni anomale.
nella foto: Carmelo Briguglio (Fli)
CHIARA MORONI "Via dal gregge di Papi: e ora mi massacrano"
di Luca Telese
Gli ultimi incredibili attacchi sono venuti ieri, a Radio 24, da Lucio Barani, il sindaco di Aulla, quello che pianta cartelli per dire che il suo è un "comune de-dipietrizzato". La scelta di Chiara Moroni di iscriversi al gruppo di Futuro e Libertà, secondo il deputato pidiellino è "il gesto di una ragazzina capricciosa che non sa cosa sia la politica", il "frutto di un innamoramento con un amministratore del gruppo L'Espresso che l'ha spinta a cambiare schieramento". Commenti altrettanto duri arrivano da Libero ("Ha tradito papà e papi"). E poi dai deputati pidiellini, come Iole Santelli ("Ha campato dieci anni sul nome di suo padre") da tanti ex socialisti che le danno, nella migliore delle ipotesi, della "traditrice". Così l'interessata respinge al mittente, e ricorre a una nuova categoria politica: "Siccome non sono una ingrata non smetterò mai di nutrire un legame di riconoscenza personale nei confronti di Silvio Berlusconi. Ma quello che non posso sopportare è la sottocultura macho-berlusconiana e maschilista di molti suoi adepti".
Onorevole Moroni, a una settimana dalla sua dissociazione continua il tiro a segno contro di lei, perchè?
Non lo so. Mi sto rendendo conto che il mio discorso è arrivato a persone diversissime e lontane. Quel giorno ho scaricato due pile di cellulare per rispondere ad elettori e dirigenti di ogni parte d'Italia che mi volevano essere vicini, tutt'ora mi scrivono".
Si sente un simbolo?
Per carità. Però mi stupisce la volgarità che accomuna questi attacchi. Se si prova a scavare, sotto la superficie di queste parole, si avverte un incredibile sottofondo di misoginia. Attenzione: politicamente è legittimo sollevare qualsiasi critica.
Che cosa non accetta quindi?
L'idea che siccome sono donna devo essere fragile, sprovveduta, oppure una poveretta soggiogata da qualche maschio seduttore.
Il presunto amante che l'ha portata fuori dal Pdl....
Ma scherziamo? Sì, la mia è una scelta dettata dal più grande amore della mia vita: la politica.
Immaginava di subire un attacco di questo tipo?
Non avevo abbastanza fantasia. Mi avessero detto che ero stata condizionata dal fatto di essere l'amante di Bocchino mi sarei stupita meno. Mai sottovalutare la forza delle maldicenze.
Persone che hanno lavorato con lei per anni ora la tratteggiano come una novizia...
Il che mi fa sorridere. Faccio politica da quando a 15 anni mi sono iscritta alla Federazione socialista. Ascoltavo le relazioni di Luca Iosi quando alcune di queste fanciulline che oggi mi criticano non leggevano ancora i giornali...
I suoi primi ricordi politici?
Sono ancora nella Prima Repubblica, ahimé: nel 1990 mi mobilitai per le elezioni comunali. Il Psi riuscì ad eleggere, ancora non c'era il voto diretto, il sindaco Panella. Nel 1992 mi gettai con entusiasmo nella campagna elettorale di mio padre.
Quanti partiti socialisti ha attraversato?
(ride) Non sia malizioso....'Solo' tre. Il Psi, il Ps, il Nuovo Psi. Però è vero che ho perso il conto delle scissioni....
La prima candidatura?
Doveva essere alle Europee del 1999. Avevo già firmato l'accettazione, ci fregarono le firme. Poi sono stata eletta nel 2001.
Lei si sentiva meno vincolata in Forza Italia che nel Pdl, perchè?
E' un fatto. In Forza Italia mi sono distinta decine di volte dalla posizione ufficiale senza sanzioni. Guardi cosa sta succedendo adesso!
Come se lo spiega?
Io credo che la nascita del Pdl abbia segnato un passaggio da un fisiologico tasso di leaderismo, ad una visione cesaristica e iper-carismatica del partito. Nei quadri dirigenti si è diffusa l'idea che chi dissente mette in pericolo la stessa identità del Pdl.
Mi faccia un esempio.
Quando annunciai che non avrei votato per il conflitto di attribuzione del Parlamento sul caso Englaro, vennero da me alcuni dirigenti a dirmi che non potevo permettermi quel gesto da vicecapogruppo.
La accusano di essersi aggregata ai finiani ma in realtà sulla bioetica, lei ha iniziato a dissentire prima di loro.
Dal punto di vista cronologico è così. Non votai la legge 40, che considero un'aberrazione, nel 2002. Ho votato in dissenso sull'omofobia nel 2008. Ero contraria ai Dico solo perchè erano troppo blandi, infatti ero una sostenitrice dei Pacs. Ho presentato proposte di legge per il riconoscimento delle unioni di fatto.
Perchè non è rimasta da dissidente?
Perchè si sono ristretti tutti gli spazi. Dopo l'ingresso di An, il Pdl è entrato in cortocircuito in un clima da congresso permanente e caccia alle streghe.
L'ha indignata quel titolo di Libero su Papi e papà?
Mi ha ferita. Conosco bene Maurizio Belpietro e non mi aspettavo un attacco così. Vede, io ho avuto un rapporto politico con Berlusconi, nessun rapporto con Papi. Curiosamente Libero non si accorge di insultare tutte le deputate del Pdl, sottintendendo che debbano essere frequentatrici della Certosa. Pensino a quelle donne!
Il tradimento più drammatico che imputano è quello di suo padre...
Nessuno può ergersi a custode unico della memoria di mio padre, nemmeno io. Mio padre, politicamente, è un simbolo politico per tutti i socialisti, non è una bandierina del Pdl.
Perchè tanti ex socialisti la chiamano in questi giorni?
Leggono il mio gesto come una manifestazione di autonomismo rispetto all'annessione delle culture di centrodestra del Pdl.
E Barani?
Poveretto. Di lui mio padre non sapeva nulla. Chiunque mi conosce sa che io decido con la mia testa.
La colpisce questa campagna?
Non solo per quel che riguarda me: tutta la battaglia contro i finiani è condotta sul piano della delegittimazione personale. Non sarà un segno di debolezza politica?
Produce effetti, però.
Oh sì! Ho imparato sulla mia pelle che quando si infila il fango nel ventilatore nessuno può sapere dove finiscono gli schizzi.
Se avesse voluto difendere la sua poltrona...
....Sarei rimasta nel Pdl. Ma sono contenta di aver rischiato. Per me la politica non è un mestiere a posto fisso, ma un luogo in cui si agisce in nome delle idee e delle passioni ideali.
Il messaggio più bello che ha ricevuto?
Un amico mi ha inviato un detto arabo: 'Gli uomini coraggiosi fanno politca. Gli altri ne parlano'. Mi piacerebbe coniugare questo proverbio al femminile. Qualunque cosa accada, non sono stata nel gregge, ho fatto le mie scelte.
10 ago 2010
FINI SOTTO ATTACCO - IL TAM TAM DI B: "ORA VADA VIA"
Bocchino: basta con la campagna mediatica del “Giornale”
di Sara Nicoli
Come se mancassero i ripetitori della voce del governo. A Berlusconi, però, non bastano mai. E così, ieri, ha lanciato un appello ai suoi Club delle Libertà per una “mobilitazione permanente, per diventare megafono dell’azione del governo sul territorio” e contrastare, in questo modo, “I DISFATTISMI E I PERSONALISMI DI CHI ANTEPONE I PROPRIO PARTICOLARI INTERESSI AL BENE DI TUTTI, AL BENE DEL PAESE”. Si salvi chi può: il premier è già in campagna elettorale e non lascerà nulla di intentato per restare dov’è adesso, con un occhio sempre vispo verso il Quirinale. Ce l’ha con Fini, il Cavaliere, e questo scontro con la terza carica dello Stato è di fatto appena cominciato. Berlusconi non lo dice mai direttamente, ma lo fa dire, appunto, ai suoi megafoni (come Daniele Capezzone) che sarebbe giusto che “Fini si dimettesse” per via di quel pasticcio della casa a Montecarlo che, dal punto di vista del Cavaliere, lo hanno messo nella stessa condizione di Scajola. I fedelissimi del presidente della Camera chiedono al premier di smentire la richiesta di “licenziamento”, la guerra continua. Con nuovi capitoli in vista. Il Capo pensa a come far fuori cofondatore, anche aggiungendo al prossimo documento programmatico (su cui chiederà la fiducia a settembre) un elemento che possa mettere all’angolo i finiani (sarà senz’altro un tema etico). E ha chiamato le truppe a raccolta. Come ai bei tempi di Forza Italia, nel ’94, quando Angelo Codignoni e Fedele Confalonieri gli regalarono un’Italia piena di piccole aggregazioni nate nel suo nome. Lo schema è lo stesso di allora. “Abbiamo agito bene, ma bisogna comunicarlo – ha scritto ieri Silvio sul sito dei Club – è necessario far conoscere questi provvedimenti a tutti gli italiani. Dovremmo riuscire a collocare in ogni piazza degli 8100 comuni della nostra Italia un nostro banchetto, un nostro gazebo e nostri sostenitori che spieghino quanto il governo è riuscito a realizzare. Sarà il più grande porta a porta mai realizzato in Italia”.
Ombre quotidiane
Ma la vera partita non si giocherà sui pianerottoli. Sarà, invece, soprattutto la Camera il palcoscenico dello scontro. “Il fatto che Berlusconi giochi d’anticipo sulla campagna elettorale – sostiene il finiano Italo Bocchino – a noi va benissimo, ma basta con la campagna mediatica contro Fini del Giornale”. Su cui Carmelo Briguglio, altro finiano, ha avanzato anche dubbi pesanti (“servizi deviati contro Fini?”) argomentando che una delle firme del quotidiano di Feltri (Massimo Malpica Orabona) è omonimo di “un notissimo direttore dei servizi segreti al tempo coinvolto nell’affaire dei fondi neri Sisde e poi condannato da un tribunale della Repubblica? E’ una coincidenza, un’omonimia o una parentela?”. “La cosa – commenta Massimo Malpica (nipote appunto di Riccardo Malpica), che con Gian Marco Chiocci ha firmato l’inchiesta su Montecarlo – mi fa sorridere”. Anche su quel fronte, tuttavia, il logoramento non potrà andare avanti a lungo. A quanto apprende il Fatto, Berlusconi vorrebbe riottenere la fiducia sul nuovo documento programmatico (composto di quattro punti fissi “non sindacabili” per dirla con Frattini) ma poi andare a caccia dello scontro frontale con Fini ed ottenere lo scioglimento delle Camere entro gennaio, in modo da votare a marzo.
La strategia per gennaio
Berlusconi vuole arrivare a quel momento con le sue truppe corazzate a pieno regime e lo schieramento totale di tutte le tv. L’ipotesi di urne anticipate, però, fa nicchiare Roberto Maroni, che tuttavia non le considera neppure un gran problema. “Non sono contento di andare alle elezioni – ha detto il ministro dell’Interno intervistato dal settimanale A, - ma se i finiani dovessero ancora votare come l’Udc allora significherebbe che sono passati dall’altra parte. Non ci sarebbe altra scelta”. I sondaggi, però non disegnano una situazione tranquilla. Il “terzo polo” di Fini, Casini e Rutelli è dato tra il 10 e il 20%. E anche se Maroni sostiene di fidarsi di più “del naso di Bossi”, i sondaggisti sono concordi: si dovesse andare al voto domani, vincerebbe di nuovo il Cavaliere. Addirittura, Nicola Piepoli vede il fronte del centrodestra attestarsi sul 50% del voti, e ricorda che in Italia “le elezioni non si vincono con il 51% ma, abbondantemente, con il 46-47%”. Con lo strappo dei finiani e la creazione di Fli, Piepoli vede un vantaggio per il centrodestra nel suo complesso, quantificato in un +2%: “Voti in uscita dalla sinistra che vanno a Fini, voti persi dal Pd, dall’Idv, e dall’estrema sinistra”. La solita storia, dunque: tutto cambi, perché niente cambi.
DA CHE PULPITO
di Antonio Padellaro
Gianfranco Fini non è certo il nostro politico preferito. Troppi saluti fascisti quando era l'allievo prediletto di Almirante. Troppi sì per troppi anni sulle leggi ad personam e su ogni altra vergonga escogitata per favorire il capo. Troppo repentina la sua conversione ai valori della laicità e della legalità per non sembrare sospetta, ma va bene lo stesso. La voglia di tirannicidio di un delfino invecchiato nell'attesa non ci convince. E, contrariamente a certi strateghi della domenica non pensiamo affatto che il nemico del nostro nemico debba per forza essere nostro amico. Diciamo poi che sulla famosa casa di Montecarlo il presidente della Camera ha aspettato troppo prima di chiarire. Non si capisce perchè visto che la faccenda dell'eredità Colleoni era di pertinenza degli amministratori di An. Piuttosto esperti, a quanto pare, in società offshore. Vero, infine, che i cognati uno non se li sceglie ma qualche contromisura nei confronti dello sgomitante Tulliani non avrebbe guastato. Detto questo è del tutto grottesco che la morale Fini se la senta fare da personaggi dediti a coprire le malefatte del nuovo padrone. Si resta incantati dallo sdegno di Capezzone (uomo tutto di un pezzo che passò tutto d'un pezzo dai Radicali a Berlusconi) nel pretendere, con insulti a raffica, le "immediate" dimissioni della terza carica dello Stato. E che dire di La Russa "che segue con tristezza la vicenda della casa di Montecarlo". La stessa intensa commozione che gli ha serrato le mascelle quando il Caimano ha decretato l'espulsione dal Pdl dell'"amico Gianfranco". Quello stesso Gianfranco senza il quale forse, chissà, il prode 'Gnazio non avrebbe mai passato in rassegna le truppe come sognava da bambino. E che dire delle folgoranti carriere del vari Gasparri e Matteoli, un dì colonnelli sull'attenti e che adesso fanno a gara nel prendere le distanze dal reietto? I colleghi del Giornale hanno il merito dello scoop monegasco. Ed è comprensibile che non mollino l'osso bastonando per pagine e pagine l'avversario del loro amato proprietario-premier. Sarebbe stato bello se la stessa appassionata foga per le notizie l'avessero dimostrata un anno fa quando di un certo personaggio si parlava soprattutto per le intense frequentazioni con ragazze a pagamento (per non parlare delle feste di compleanno di adolescenti appena sbocciate). Lo stesso personaggio che adesso si mostra corrucciato per tanta decadenza dei costumi. O che forse si sente deluso dall'ex numero due: e che cavolo, farsi beccare solo per un appartamento da trecentomila euro.......
da Il Fatto Quotidiano
6 ago 2010
RISPOSTA DI ANTONIO DI PIETRO A PAOLO FLORES D'ARCAIS
DI PIETRO: IL PD NON CI STA. MEGLIO LE URNE“
Scendiamo dalle nuvole. Nessuno toglierà B.”
Sul Fatto Quotidiano di ieri, Paolo Flores D’Arcais ha scritto un appello diretto ad Antonio Di Pietro e Nichi Vendola, in cui chiedeva loro, alle condizioni date, di lavorare per un governo di transizione che mettesse mano al conflitto di interessi e alla legge elettorale. Unico modo, argomentava, per togliere a Silvio Berlusconi la possibilità di condizionare in maniera così pesante la vita pubblica nel nostro Paese. Ben sapendo della difficoltà di intraprendere una strada così “utopistica”, Flores rilanciava l’idea di una grande manifestazione di piazza, sul modello di quella che portò a Roma i cittadini dei “girotondi” e quelli del “Popolo Viola”, per chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi dalla Presidenza del Consiglio. Oggi ospitiamo la risposta di Antonio Di Pietro.
di Antonio Di Pietro
Caro Flores, rispondo all’appello che hai rivolto a me e a Vendola. Tu condividi con noi la necessità di andare alle urne per mandare a casa Berlusconi e il suo governo. Giustamente, però, fai notare che se non si realizzano prima “due condizioni minime” (parole tue), ovvero “modificare l’attuale legge elettorale “porcata” e togliere a Berlusconi il controllo totalitario dell’informazione”, sarà molto difficile, se non impossibile, poi vincere le elezioni.
Tu stesso, inoltre, fai notare che, fino a quando Berlusconi sarà al governo e avrà una maggioranza che lo sorreggerà, è inimmaginabile che il Parlamento possa emanare una nuova legge elettorale più democratica e plurale dell’informazione libera e privata.
L’UTOPIA E LA LOTTA
Tu stesso, quindi, per sfuggire a questa ferrea morsa, proponi l’avvento di un “governo provvisorio” o “governo di lealtà istituzionale” (come lo chiami tu) composto da personalità non della politica (e quindi non parlamentari e non appartenente a partiti) che si sostituisca all’attuale governo berlusconiano ed emani leggi che soddisfino le suddette due “condizioni minime” per andare alle elezioni.
Tu stesso, infine, ti sei accorto che la proposta da te avanzata è a tal punto “utopistica” (ancora parole tue) da ritenere che l’unica strada praticabile ora sia, in realtà, “una proposta di lotta” (sei sempre tu a parlarne), ovvero “una grande manifestazione nazionale per fine settembre che chieda elezioni democratiche, fuori Berlusconi, governo di pluralismo televisivo, nuova legge elettorale”.
Insomma, un’altra manifestazione come quella del 2002 a Piazza Navona con Nanni Moretti o quella del 2009 per il “No B. day).
Tutto qui? Mi verrebbe da dire.
Sia chiaro, sono d’accordissimo con te: sia per quanto riguarda l’analisi che la proposta. Sono a tal punto d’accordo con te che mi impegno qui per iscritto, nero su bianco, ad essere anch’io, e tutti noi dell’Italia dei Valori, della partita, pronti a mobilitare tutte le nostre strutture organizzative (e i due milioni ed oltre di firme raccolte per i 3 referendum – acqua, nucleare e legittimo impedimento – stanno lì a dimostrare la forza della nostra organizzazione). Siamo pronti a tappezzare il Paese con manifesti per denunciare le nefandezze berlusconiane (cosa che, peraltro, stiamo già facendo). Siamo pronti a investire ulteriormente nella comunicazione in Rete (da settembre partirà una Web Tv dell’Italia dei Valori). Siamo pronti a girare (lo sono anche personalmente e col megafono in mano), per tutte le piazze e i mercati d’Italia per “chiamare alle armi” il popolo democratico per una nuova grande manifestazione.
SOGNO E REALTA’
Detto questo, però – e con il rinnovato impegno a farlo per davvero – scendiamo entrambi dalle nuvole e rimettiamo i piedi per terra:
1) Non esiste, e non potrà mai esistere, una maggioranza parlamentare che in questa legislatura abbia il coraggio di smarcarsi da Berlusconi per varare le due “condizioni minime” di cui tu parli;
2) Non esiste, e non esisterà mai, una maggioranza parlamentare disposta a dare la fiducia ad un governo di “lealtà istituzionale” formato da altissime personalità tecniche non provenienti dalla politica. Piaccia o non piaccia è così e non sarà certo una manifestazione pubblica in più a far cambiare idea ai mestieranti della politica che infestano il Parlamento.
3) Non esiste, e non può esistere, la possibilità che si realizzi un’inedita coalizione politica elettorale che veda insieme la destra di Fini e la sinistra del Partito democratico. Gli elettori di entrambi gli schieramenti li manderebbero a quel paese. La storia è storia e non si può scherzare con formule e formulette, calpestando i ricordi e le sofferenze;
4) Non esiste, e non può esistere, che l’attuale classe dirigente del Partito Democratico si unisca a noi dell’Italia dei Valori, o alla Sinistra e Libertà di Vendola, per fare squadra insieme. Lo ha ripetuto Letta l’altro ieri e lo ha ribadito D’Alema ieri. I maggiorenti del Pd vedono me e Vendola come fumo negli occhi e, se potessero, ci farebbero fuori prima e peggio di Berlusconi. Il Pd sta lavorando per costruire una nuova coalizione con L’Udc e con la resuscitata “balena bianca”, e ha già risposto picche alla mia proposta di costruire con L’IdV la coalizione del centrosinistra. A Vendola faranno di peggio: renderanno un inferno la sua attività di governatore della Puglia, anche se, ovviamente, negheranno e smentiranno sdegnati. Senza contare quel che hanno fatto e faranno a Luigi De Magistris che non considerano della famiglia del centrosinistra solo perché ha fatto il suo dovere fino in fondo. Così stando le cose, non ci resta altro da fare che rimboccarci le maniche e intanto partire da soli nella costruzione di un’inedita coalizione.
Oggi va bene anche una nuova manifestazione di piazza, ma per domani dobbiamo unire “le forze dei non allineati”, quelle della società civile, della Rete, magari anche dei “grillini”, soprattutto dobbiamo parlare al “popolo” – sia della sinistra che della destra – per far capire che la loro classe dirigente li sta tradendo e li sta usando. Dobbiamo far sapere che Fini e i finiani non sono credibili perché hanno rotto con Berlusconi in nome della legalità e poi si sono alleati con Cuffaro e Lombardo e non hanno votato la sfiducia a Caliendo. Dobbiamo far sapere che i maggiorenti del Pd, pur di non aver tra i piedi me o Vendola, si stanno “accasando” con Casini, Cuffaro, Lombardo e una miriade di altri personaggi impresentabili per la loro storia personale e politica. Dobbiamo parlare anche al popolo del Nord per denunciare la grande truffa mediatica dei dirigenti della Lega che i fine settimana fanno i gradassi a Pontida e durante la settimana a Roma, si spartiscono le poltrone e le prebende come e peggio della Prima Repubblica.
LE REGOLE E IL GIOCO
Insomma e in conclusione: è inutile cercare di cambiare da dentro le regole del gioco (legge elettorale, conflitto di interessi o pluralità dell’informazione). Non lo faranno e non ce lo faranno fare. Meglio attrezzarci da subito con una “coalizione alternativa” di nuovo conio per essere pronti ad affrontare le elezioni quando ci saranno, anche a costo di andarci con le attuali “regole capestro”, piuttosto che sognare coalizioni di “lealtà costituzionale”, come utopisticamente e genuinamente le hai chiamate tu, o di “responsabilità nazionale”, come furbescamente le ha definite Casini con il chiaro scopo di andare lui al governo al posto di Berlusconi, cosa che molti del Pd sembrano già disposti a barattare, come hanno fatto per Vietti al Csm.
Per intenderci, caro Paolo, questa coalizione è già nei fatti.
E del Pd che ne facciamo, dirai tu.
Non tutto è perduto. I maggiorenti del Pd conoscono solo la legge del più forte e noi dobbiamo sfidarli proprio su questo campo. Lavoriamo da subito alla costruzione di questa “coalizione alternativa” e vedrai che la “paura” di essere affiancati e superati da forze più fresche e più risolute li porterà a più miti consigli. Anche loro sanno, come tutti noi dobbiamo sapere e avere ben presente, che è prioritario, per il bene del Paese, liberarci del clan piduista che fa capo a Silvio Berlusconi. Quindi dobbiamo tutti rassegnarci a convivere tra noi per arrivare all’obiettivo. Alla fine, arriveranno, speriamo non a tempo scaduto, anche i pachidermi del Pd.
5 ago 2010
LETTERA DEL FIGLIO DI UN OPERAIO
Lettera del figlio di un operaio:
Ero tornato da poche ore, l'ho visto, per la prima volta, era alto, bello, forte e odorava di olio e lamiera.
Per anni l'ho visto alzarsi alle quattro del mattino, salire sulla sua bicicletta e scomparire nella nebbia di Torino, in direzione della Fabbrica.
L'ho visto addormentarsi sul divano, distrutto da ore di lavoro e alienato dalla produzione di migliaia di pezzi, tutti uguali, imposti dal cottimo.
L'ho visto felice passare il proprio tempo libero con i figli e la moglie.
L'ho visto soffrire, quando mi ha detto che il suo stipendio non gli permetteva di farmi frequentare l'università.
L'ho visto umiliato, quando gli hanno offerto un aumento di 100 lire per ogni ora di lavoro.
L'ho visto distrutto, quando a 53 anni, un manager della Fabbrica gli ha detto che era troppo vecchio per le loro esigenze.
Ho visto manager e industriali chiedere di alzare sempre più l'età lavorativa, ho visto economisti incitare alla globalizzazione del denaro, ma dimenticare la globalizzazione dei diritti, ho visto direttori di giornali affermare che gli operai non esistevano più, ho visto politici chiedere agli operai di fare sacrifici, per il bene del paese, ho visto sindacalisti dire che la modernità richiede di tornare indietro.
Ma mi è mancata l'aria, quando lunedì 26 luglio 2010, su " La Stampa" di Torino, ho letto l'editoriale del Prof . Mario Deaglio. Nell'esposizione del professore, i "diritti dei lavoratori" diventano "componenti non monetarie della retribuzione", la "difesa del posto di lavoro" doveva essere sostituita da una volatile "garanzia della continuità delle occasioni da lavoro", ma soprattutto il lavoratore, i cui salari erano ormai ridotti al minimo, non necessitava più del "tempo libero in cui spendere quei salari", ma doveva solo pensare a soddisfare le maggiori richieste della controparte (teoria ripetuta dal Prof. Deaglio a Radio 24 tra le 17,30 e la 18,00 di Martedì 27 luglio 2010).
Pensare che un uomo di cultura, pur con tutte le argomentazioni di cui è capace, arrivi a sostenere che il tempo libero di un operaio non abbia alcun valore, perché non è correlato al denaro, mi ha tolto l'aria.
Sono salito sull'auto costruita dagli operai della Mirafiori di Torino.
Sono corso a casa dei miei genitori, l'ho visto per l'ennesima volta. Era curvo, la labirintite, causata da milioni di colpi di pressa, lo faceva barcollare, era debole a causa della cardiopatia, era mio padre, operaio al reparto presse, per 35 anni, in cui aveva sacrificato tutto, tranne il tempo libero con la sua famiglia, quello era gratis.
Odorava di dignità.
Ero tornato da poche ore, l'ho visto, per la prima volta, era alto, bello, forte e odorava di olio e lamiera.
Per anni l'ho visto alzarsi alle quattro del mattino, salire sulla sua bicicletta e scomparire nella nebbia di Torino, in direzione della Fabbrica.
L'ho visto addormentarsi sul divano, distrutto da ore di lavoro e alienato dalla produzione di migliaia di pezzi, tutti uguali, imposti dal cottimo.
L'ho visto felice passare il proprio tempo libero con i figli e la moglie.
L'ho visto soffrire, quando mi ha detto che il suo stipendio non gli permetteva di farmi frequentare l'università.
L'ho visto umiliato, quando gli hanno offerto un aumento di 100 lire per ogni ora di lavoro.
L'ho visto distrutto, quando a 53 anni, un manager della Fabbrica gli ha detto che era troppo vecchio per le loro esigenze.
Ho visto manager e industriali chiedere di alzare sempre più l'età lavorativa, ho visto economisti incitare alla globalizzazione del denaro, ma dimenticare la globalizzazione dei diritti, ho visto direttori di giornali affermare che gli operai non esistevano più, ho visto politici chiedere agli operai di fare sacrifici, per il bene del paese, ho visto sindacalisti dire che la modernità richiede di tornare indietro.
Ma mi è mancata l'aria, quando lunedì 26 luglio 2010, su " La Stampa" di Torino, ho letto l'editoriale del Prof . Mario Deaglio. Nell'esposizione del professore, i "diritti dei lavoratori" diventano "componenti non monetarie della retribuzione", la "difesa del posto di lavoro" doveva essere sostituita da una volatile "garanzia della continuità delle occasioni da lavoro", ma soprattutto il lavoratore, i cui salari erano ormai ridotti al minimo, non necessitava più del "tempo libero in cui spendere quei salari", ma doveva solo pensare a soddisfare le maggiori richieste della controparte (teoria ripetuta dal Prof. Deaglio a Radio 24 tra le 17,30 e la 18,00 di Martedì 27 luglio 2010).
Pensare che un uomo di cultura, pur con tutte le argomentazioni di cui è capace, arrivi a sostenere che il tempo libero di un operaio non abbia alcun valore, perché non è correlato al denaro, mi ha tolto l'aria.
Sono salito sull'auto costruita dagli operai della Mirafiori di Torino.
Sono corso a casa dei miei genitori, l'ho visto per l'ennesima volta. Era curvo, la labirintite, causata da milioni di colpi di pressa, lo faceva barcollare, era debole a causa della cardiopatia, era mio padre, operaio al reparto presse, per 35 anni, in cui aveva sacrificato tutto, tranne il tempo libero con la sua famiglia, quello era gratis.
Odorava di dignità.
4 ago 2010
ALDO BUSI: “HANNO AFFLOSCIATO LA SINISTRA”
Altro che questi qui, servirebbe Fini.
B? Il suo è un potere impotente
di Luca Telese
La sinistra ormai sembra senza futuro. Mi rendo conto che potrebbe stupire qualcuno, ma l’unica speranza di chi vorrebbe in Italia qualche diritto e un sistema di regole di respiro europeo ha il nome di Gianfranco Fini”. Premessa. Sentendolo parlare di politica alla Zanzara, su Radio 24, ieri, ero rimasto folgorato. Infatti Aldo Busi, “il più grande scrittore italiano vivente” (auto definizione storica che ormai nessuno può rifiutarsi di sottoscrivere) è convinto che la svolta del leader di An sia credibile anche per un progressista libertario come lui. Ed è convinto anche che l’unica possibile chiave di interpretazioni delle leadership politiche risieda nel retroterra erotico della politica.
- Busi, lo ammetta. Sentirla parlare male del Pd e bene di Fini è una cosa che non può non stupire…
Sa, il trauma risale al giorno delle elezioni. Ero pronto ad andare a votare Pd, quando sento questa terrificante dichiarazione di Bersani: “Sono contrario al matrimonio fra omosessuali”.
- E la cosa l’ha sorpresa?
Oh sì. In primo luogo perché era inutile, non glielo chiedeva nessuno. Poi perché non aveva senso dirlo: nemmeno La Russa direbbe una cosa così e infatti non l’ha mai detta. Sono affermazioni talmente stupide che si giustificano solo con il bisogno di ossequiare le gerarchie ecclesiastiche.
- Pensa davvero che fosse quello l’obiettivo?
Ma certo. Dentro di me ho pensato: ma che cazzo vai a dire” Non ho più votato.
- Però ad essere rigorosi, anche Fini disse delle famosissime frasi contro i maestri omosessuali…
Frasi orribili. Però in un altro secolo. Non le scuso e non le dimentico. Ma non intendo nemmeno inchiodare Fini al suo passato.
- No?
Ma no! A me oggi interessa il presente e, se possibile, il futuro. E sa cosa le dico? Che conta il percorso di Fini negli ultimi anni: il viaggio in Israele, la rottura sulle leggi razziali, le posizioni avanzate sulla bioetica e sui diritti civili che mi fanno intravedere la possibilità di una destra moderna e finalmente europea.
- Insomma, Fini convince.
Pensi: non pretende di pontificare sulla religione, sulla vita di Eluana Englaro, vuoi per calcolo o vuoi per astuzia, ha fatto un percorso inverso a quello dei dirigenti democratici. E poi…
- Cosa ancora?
E’ stato l’unico dentro il Pdl a dare bacchettate al Vaticano ricordandogli che non deve intromettersi nelle vicende dello Stato italiano. Parole sacrosante.
- Lei sostiene che potrebbe addirittura votarlo.
E perché no? Se Fini avrà un anno di tempo potrà addirittura raggiungere il 12%.
- Torniamo alla sinistra. Lei un anno fa disse: la destra è femmina, la sinistra è maschile. Ovvero: piena di dubbi, ossessionata come il maschio dalla paura di non essere abbastanza virile.
E’ così vero che le lancio questa provocazione. Io ho un problema: i leader della sinistra non riesco a immaginarmeli mentre fanno sesso. Prodi, Veltroni, Franceschini, sembrano sempre asessuati, flosci, più vecchi della loro età, non seduttivi.
- Addirittura…
Mi perdoni la brutalità, ma lei riesce ad immaginarsi Veltroni che monta una donna? Io no. Fanno figli, certo, solo per adattarsi alla domanda di presentabilità sociale che chiede ad un politico di esibire uno straccio di famiglia.
- Eppure lei non ha cambiato le sue idee.
Io sono e resto profondamente, intimamente di sinistra. Ma sono deluso da questa sinistra senza carisma, passione.
- Non le piace neanche Vendola, è così?
Sono rimasto deluso da una sua dichiarazione: quella secondo cui sarebbe un omosessuale morigerato. E’ come una sorta di excusatio non petita. Cosa vuol dire? Che gli altri omosessuali sono non-morigerati? O che lui ha un partner fisso e gli altro? Forse è condizionato dal suo dichiararsi continuamente cattolico. Salvo il rapporto con i minori e il ricorso alle prostitute, la sessualità è un fatto squisitamente personale.
- Anche Fini si presenta come cattolico.
Sì, ma con un tono di modernità per cui questo aspetto non è dirimente. Piace infatti alla piccola borghesia del Nord, agli imprenditori che hanno bisogno di legalità e di regole di mercato. E invece finchè ci sarà il berlusconismo è chiaro che per qualsiasi appalto ti devi rivolgere all’amico dell’amico.
- Lei dice che non le interessa la sessualità privata dei politici, però su quella di Berlusconi ha detto parole di fuoco.
Ho detto che escludevo l’abuso sui minori, contro cui combatto una battaglia trentennale, e l’uso delle prostitute. Proprio ieri, rileggendo i verbali della escort Terry De Nicolò a Palazzo Grazioli, ho trovato un’altra traccia di questo, nella storia di Berlusconi.
- Provo a provocarla: un libertario come lei censura una scelta privata?
Perché la leggo come un indizio terrificante di decadenza. E perché vedo in questo tentativo di ridicola esibizione erotica, la speranza di usare la leva consunta del sesso, per rafforzare quella traballante del potere. Siamo dalle parti di Morte a Venezia e di Thomas Mann…
- Addirittura.
Ma scusi, un uomo di 73 anni ancora schiavo dell’illusione del virilismo! Siamo nel ridicolo e nel grottesco.
- Una invettiva.
Mi fa pena, mi fa tristezza. Vede, io sono un uomo ancora bello, ma anziano…E’ una cosa che intenerisce e deprime che un vecchio ceda alla tentazione senile dell’efebo e della giovinetta.
- Nel caso di Berlusconi si parla di giovinette, non di efebi.
E’ lo stesso! Anzi, è peggio. Questa non è una visione della femminilità. E’ la sublimazione del decadimento nella speranza di una giovane vita. Quelle sono donne che si fingono donne per mestiere.
- Eravamo partiti dalla politica siamo finiti al sesso.
E’ inevitabile. Perché in tempi di decadimento morale e intellettuale, il sesso resta l’unico sostrato possibile della politica. L’unica chiave che aiuta a capire qualcosa.
- E cosa si capisce?
Che il potere, soprattutto il potere di Berlusconi, esibisce virilità per nascondere debolezza. E’ un potere impotente.
- Sono incantato, prosegua.
E’ una perversione che conosco, il cannibalismo del sesso. Più mangi e più hai fame. Ma quelle donne cannibalizzate dal Cavaliere non sono donne, sono fantasmi. Vede, se io penso a una donna con cui potrei fare sesso mi immagino una farmacista, una panettiera, la vita…Non puttane che per soldi si fingono donne e vi vestono da catechiste pervertite.
- Lei ha dato dell’impotente al premier.
Non è un’ingiuria. Lo sono pure il. Il sesso come esercizio ginnico ormai mi annoia. L’erotismo è il fallimento della sessualità. E l’erotismo delle damine bianche di Berlusconi è un erotismo per vecchi satiri di bocciofila.
da IL FATTO QUOTIDIANO
nella foto: ALDO BUSI
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