Stamattina, al mio risveglio, guardo sbadatamente con occhio ancora impastato e semi orbo, fuori dalla finestra.
Tiro un sospiro di sorpresa che mi si blocca a metà provocandomi un forte colpo di tosse e seguendone altri a distogliermi dallo spettacolo che ormai, per gli attuali voleri climatici, diventa sempre più raro!
La notte appena trascorsa mi ha voluto anticipare un primo regalo di Natale: una candida spolverata di neve che ha trasformato lo scorcio di paesaggio incorniciato dalla mia finestra, in una cartolina dipinta, dal sapore natalizio.
Ed ecco che, come un deja vu, mi sento di aver già vissuto questo momento mille altre volte.
Sì, ora ricordo il “Giorno delle cartoline di Natale”.
Mi passano davanti agli occhi, come se le stessi ancora scegliendo, le cartoline che i miei genitori, durante il periodo di Natale, acquistavano in blocco da spedire a tutti, parenti ed amici, e ricordo che allo step successivo comparivamo anche io e miei fratelli che, con attenzione si doveva procedere all’assegnazione.
L’attenta destinazione doveva avvenire tenendo conto della distanza e della conoscenza che c’erano fra parenti, fra parenti ed amici, e fra amici.
Non si poteva mandare lo stesso tipo di cartolina a Zia Gina e poi anche a Isella e Lidia le figlie, perché sarebbe stato sconveniente e sicuramente avrebbero pensato che non avevamo messo quella dovizia e quell’attenzione che una volta erano indispensabili in un rito così importante come quello dell’invio delle cartoline di Natale.
E poi, mai inviare la cartolina con la chiesetta di campagna bella innevata a Guglielmo, l’amico di papà, quello ateo fino al parossismo, meglio stare sul classico Babbo Natale bello paffuto e con le guance rosse che, in qualche modo, gli assomigliava pure.........oh no, meglio non punzecchiare la sua suscettibilità stando su una cartolina molto sui generis.
Deciso!
L’immagine di un bell’albero di Natale con decine di pacchi colorati ben disposti sotto di esso e la bellissima scritta “Buone Feste” a cui noi tutti avremmo aggiunto le varie firme più o meno comprensibili...data la nostra anche giovanissima età.
Sì, l’avrebbe apprezzato molto di più.
Peccato che ogni anno facevamo le stesse deduzioni e tiravamo sempre ed immancabilmente le stesse conclusioni al punto che, qualche giorno prima di ogni Natale, il buon Guglielmo si vedeva recapitare la stessa cartolina, a volte identica perché scelta nella stessa tabaccheria.
E poi arrivava il turno di quella bisbetica dell’amica di mamma: la Zita.
Ricca, sposata e senza figli, dati importantissimi per la scelta di una cartolina natalizia.
Dovevamo omettere ogni tipo di immagine che richiamasse la memoria a famiglie con figli o ad angioletti belli in carne che avrebbero potuto ricordare in qualche modo il classico neonato da spupazzare che, a Natale, se non ce l’hai e ne hai voglia, ti ritrovi a decuplicarne il desiderio.
Dunque, la cartolina più adatta per Zita non poteva che essere l’immagine di due flut ravvicinati al centro e uno spumeggiante “Auguri di Buon Anno” dipinto fra milioni di bollicine.
Non credo che le nostre scelte siano mai state sbagliate in tanti anni di selezione, perché l’abbiamo sempre vista bussare a casa nostra il giorno della Vigilia di Natale, carica di doni e di sorrisi.
Bingo!
Arrivava poi il momento dei parenti dalla parte di mio padre che abitavano tutti a stretta distanza e spesso, non bastavano tutte le scelte di cui disponevamo ma eravamo costretti ad utilizzare i cosiddetti “doppioni” che assegnavamo con la massima attenzione ma che, sicuramente, non sarebbe bastata per sdipanare critiche nei nostri confronti.
Poco male!
Non li vedevamo mai e non eravamo neppure tanto legati al punto di preoccuparcene più di quell’attimo in cui si sceglieva la cartolina natalizia.
I nonni, grazie al cielo li avevamo tutti vicini, una addirittura viveva con noi, quindi non avevamo bisogno di inviare cartoline ma era il periodo migliore per ingigantirli di coccole e di attenzioni.
Non era così invece per la vecchia balia che aiutò mia madre a portare alla luce noi tre figli.
Lucia.
A lei inviavamo sempre bellissime cartoline e non avevamo particolari preoccupazioni di pungolarle la suscettibilità, perché era una donna che traboccava solo di bei sentimenti.
La ricordo ancora con immenso affetto, anche se con un’immagine lievemente sfuocata.
In particolare mi viene in mente il suo bel naso a patata che mi ha sempre stimolato un simpatico “popi popi” ma che mai mi sarei permessa di fare, se non volevo saltare una cena e considerata la mia corporaturina rubiconda, credo di essere regolarmente scesa a compromessi con mio padre.
Con lei dunque, la scelta della cartolina di Natale, era un’impresa molto facile seppure fosse zitella.
Nonostante non avesse figli, trascorreva il Natale alternativamente a casa di una delle tante famiglie conosciute come balia ed ognuno dei bimbi che aveva aiutato a dare alla luce, lo considerava in piccola parte anche suo e infatti, ricordo con particolare piacere che anche a casa nostra era spesso ospite molto gradita.....ma purtroppo molto contesa.
Dunque Lucia possedeva mille famiglie e tutte, indistintamente, facevano a gara per averla con sé nel periodo natalizio.
Il Natale in sua compagnia era più caldo, più completo, più simpatico.
Lucia era una signora di mezza età, corpulenta, con le mani cicciotte e tanto burlona; si inventava sempre milioni di storie che poi ci raccontava in poltrona davanti all’albero con noi tre disposti attorno a lei: uno sul bracciolo destro, uno su quello sinistro e la più piccola, quella fortunata di mia sorella, sulle sue ginocchia.
Al suo arrivo, il suo rito era quello di portarsi con sé la cartolina che le avevamo spedito e di inventarsi una novella che quella cartolina le aveva ispirato.
Erano sempre fiabe bellissime....proprio come lei.
Tornando all’assegnazione delle cartoline natalizie, dopo aver sistemato i parenti e in linea di massima, tutti gli amici, si passava a quel gruppo di persone chiamate “di un certo livello” che, fino al mio periodo adolescenziale ho sempre ignorato chi fossero.
Ad essi venivano assegnate non le cartoline normali ma quelle che si spedivano dentro ad una bella busta dalla carta elegante e dal tatto raffinato.
Io consideravo quel momento il meno entusiasmante perché, i miei fratelli ed io, dovevamo stare particolarmente attenti a fare le nostre firme, non dovevamo essere tremolanti o fare baffetti perché erano cartoline costose destinate a persone altolocate e con la puzza sotto al naso.
Uffa!
La laboriosità e la responsabilità di quel momento che richiedeva di non essere maldestra ma diligente ed ordinata, mi procurava una certa ansia, dato il mio vero carattere.
Fortunatamente erano poche le persone “di un certo livello” a cui dovevamo fare gli auguri anche perché il nostro ceppo contadino, nonostante mio padre fosse diventato un quotato professionista, non ci permetteva comunque di allargare più di tanto questa casta. Egli, infatti, era molto modesto e non amava particolarmente le apparenze ma purtroppo non poteva eludere tutti coloro che ne facevano parte e con i quali aveva rapporti quotidiani di lavoro.
Ma mi accorgevo che anche lui, “il giorno delle cartoline di Natale” non amava rovinarlo con queste imposizioni perciò fu una parentesi che egli stesso ridusse sempre di più portandola ad una breve manciata di minuti.
Gliene fui sempre molto grata.
Nella nostra famiglia, “il giorno delle cartoline di Natale” era una tradizione come i cappelletti in brodo di cappone, il panettone farcito e la lunga messa del 25 dicembre......e spesso era una giornata spolverata da un candido manto di neve che, come un soffice strato di glassa, rendeva ancora più dolce quel giorno.
Solitamente ci si ritrovava tutti insieme scegliendo la domenica di due settimane prima del Natale ed occorrevano in media una mattinata per l’assegnazione delle cartoline augurali ed un pomeriggio per completarne l’operazione di compilazione.
Anche la nonna contribuiva con il suo tocco a renderlo un giorno indimenticabile sfornando teglie di biscotti che mai riuscivano a raggiungere la tavola per colpa di una golosa voracità che giustificavamo con la fatica a cui eravamo sottoposti nella ricerca di frasi più o meno sentite e per le quali tutti ci davamo un gran daffare con risultati sinceramente mediocri e poco creativi.
Oggi, dopo trent’anni e grazie ad una spolverata di neve intravista dalla mia finestra, ricordo con estremo piacere uno dei giorni più belli dell’anno al quale avevamo dato un nome e che ci teneva uniti come in pochi altri momenti, facendoci divertire e dimenticare per un giorno intero i grattacapi che caratterizzavano le difficoltà di quegli anni.
Ho deciso, oggi a costo di sembrare una intramontabile romantica, andrò a comperare qualche decina di cartoline e, radunando la mia famiglia, che mi guarderà sicuramente con fare sospetto, ripristinerò, almeno per una volta: “il Giorno delle Cartoline di Natale”.
Tiro un sospiro di sorpresa che mi si blocca a metà provocandomi un forte colpo di tosse e seguendone altri a distogliermi dallo spettacolo che ormai, per gli attuali voleri climatici, diventa sempre più raro!
La notte appena trascorsa mi ha voluto anticipare un primo regalo di Natale: una candida spolverata di neve che ha trasformato lo scorcio di paesaggio incorniciato dalla mia finestra, in una cartolina dipinta, dal sapore natalizio.
Ed ecco che, come un deja vu, mi sento di aver già vissuto questo momento mille altre volte.
Sì, ora ricordo il “Giorno delle cartoline di Natale”.
Mi passano davanti agli occhi, come se le stessi ancora scegliendo, le cartoline che i miei genitori, durante il periodo di Natale, acquistavano in blocco da spedire a tutti, parenti ed amici, e ricordo che allo step successivo comparivamo anche io e miei fratelli che, con attenzione si doveva procedere all’assegnazione.
L’attenta destinazione doveva avvenire tenendo conto della distanza e della conoscenza che c’erano fra parenti, fra parenti ed amici, e fra amici.
Non si poteva mandare lo stesso tipo di cartolina a Zia Gina e poi anche a Isella e Lidia le figlie, perché sarebbe stato sconveniente e sicuramente avrebbero pensato che non avevamo messo quella dovizia e quell’attenzione che una volta erano indispensabili in un rito così importante come quello dell’invio delle cartoline di Natale.
E poi, mai inviare la cartolina con la chiesetta di campagna bella innevata a Guglielmo, l’amico di papà, quello ateo fino al parossismo, meglio stare sul classico Babbo Natale bello paffuto e con le guance rosse che, in qualche modo, gli assomigliava pure.........oh no, meglio non punzecchiare la sua suscettibilità stando su una cartolina molto sui generis.
Deciso!
L’immagine di un bell’albero di Natale con decine di pacchi colorati ben disposti sotto di esso e la bellissima scritta “Buone Feste” a cui noi tutti avremmo aggiunto le varie firme più o meno comprensibili...data la nostra anche giovanissima età.
Sì, l’avrebbe apprezzato molto di più.
Peccato che ogni anno facevamo le stesse deduzioni e tiravamo sempre ed immancabilmente le stesse conclusioni al punto che, qualche giorno prima di ogni Natale, il buon Guglielmo si vedeva recapitare la stessa cartolina, a volte identica perché scelta nella stessa tabaccheria.
E poi arrivava il turno di quella bisbetica dell’amica di mamma: la Zita.
Ricca, sposata e senza figli, dati importantissimi per la scelta di una cartolina natalizia.
Dovevamo omettere ogni tipo di immagine che richiamasse la memoria a famiglie con figli o ad angioletti belli in carne che avrebbero potuto ricordare in qualche modo il classico neonato da spupazzare che, a Natale, se non ce l’hai e ne hai voglia, ti ritrovi a decuplicarne il desiderio.
Dunque, la cartolina più adatta per Zita non poteva che essere l’immagine di due flut ravvicinati al centro e uno spumeggiante “Auguri di Buon Anno” dipinto fra milioni di bollicine.
Non credo che le nostre scelte siano mai state sbagliate in tanti anni di selezione, perché l’abbiamo sempre vista bussare a casa nostra il giorno della Vigilia di Natale, carica di doni e di sorrisi.
Bingo!
Arrivava poi il momento dei parenti dalla parte di mio padre che abitavano tutti a stretta distanza e spesso, non bastavano tutte le scelte di cui disponevamo ma eravamo costretti ad utilizzare i cosiddetti “doppioni” che assegnavamo con la massima attenzione ma che, sicuramente, non sarebbe bastata per sdipanare critiche nei nostri confronti.
Poco male!
Non li vedevamo mai e non eravamo neppure tanto legati al punto di preoccuparcene più di quell’attimo in cui si sceglieva la cartolina natalizia.
I nonni, grazie al cielo li avevamo tutti vicini, una addirittura viveva con noi, quindi non avevamo bisogno di inviare cartoline ma era il periodo migliore per ingigantirli di coccole e di attenzioni.
Non era così invece per la vecchia balia che aiutò mia madre a portare alla luce noi tre figli.
Lucia.
A lei inviavamo sempre bellissime cartoline e non avevamo particolari preoccupazioni di pungolarle la suscettibilità, perché era una donna che traboccava solo di bei sentimenti.
La ricordo ancora con immenso affetto, anche se con un’immagine lievemente sfuocata.
In particolare mi viene in mente il suo bel naso a patata che mi ha sempre stimolato un simpatico “popi popi” ma che mai mi sarei permessa di fare, se non volevo saltare una cena e considerata la mia corporaturina rubiconda, credo di essere regolarmente scesa a compromessi con mio padre.
Con lei dunque, la scelta della cartolina di Natale, era un’impresa molto facile seppure fosse zitella.
Nonostante non avesse figli, trascorreva il Natale alternativamente a casa di una delle tante famiglie conosciute come balia ed ognuno dei bimbi che aveva aiutato a dare alla luce, lo considerava in piccola parte anche suo e infatti, ricordo con particolare piacere che anche a casa nostra era spesso ospite molto gradita.....ma purtroppo molto contesa.
Dunque Lucia possedeva mille famiglie e tutte, indistintamente, facevano a gara per averla con sé nel periodo natalizio.
Il Natale in sua compagnia era più caldo, più completo, più simpatico.
Lucia era una signora di mezza età, corpulenta, con le mani cicciotte e tanto burlona; si inventava sempre milioni di storie che poi ci raccontava in poltrona davanti all’albero con noi tre disposti attorno a lei: uno sul bracciolo destro, uno su quello sinistro e la più piccola, quella fortunata di mia sorella, sulle sue ginocchia.
Al suo arrivo, il suo rito era quello di portarsi con sé la cartolina che le avevamo spedito e di inventarsi una novella che quella cartolina le aveva ispirato.
Erano sempre fiabe bellissime....proprio come lei.
Tornando all’assegnazione delle cartoline natalizie, dopo aver sistemato i parenti e in linea di massima, tutti gli amici, si passava a quel gruppo di persone chiamate “di un certo livello” che, fino al mio periodo adolescenziale ho sempre ignorato chi fossero.
Ad essi venivano assegnate non le cartoline normali ma quelle che si spedivano dentro ad una bella busta dalla carta elegante e dal tatto raffinato.
Io consideravo quel momento il meno entusiasmante perché, i miei fratelli ed io, dovevamo stare particolarmente attenti a fare le nostre firme, non dovevamo essere tremolanti o fare baffetti perché erano cartoline costose destinate a persone altolocate e con la puzza sotto al naso.
Uffa!
La laboriosità e la responsabilità di quel momento che richiedeva di non essere maldestra ma diligente ed ordinata, mi procurava una certa ansia, dato il mio vero carattere.
Fortunatamente erano poche le persone “di un certo livello” a cui dovevamo fare gli auguri anche perché il nostro ceppo contadino, nonostante mio padre fosse diventato un quotato professionista, non ci permetteva comunque di allargare più di tanto questa casta. Egli, infatti, era molto modesto e non amava particolarmente le apparenze ma purtroppo non poteva eludere tutti coloro che ne facevano parte e con i quali aveva rapporti quotidiani di lavoro.
Ma mi accorgevo che anche lui, “il giorno delle cartoline di Natale” non amava rovinarlo con queste imposizioni perciò fu una parentesi che egli stesso ridusse sempre di più portandola ad una breve manciata di minuti.
Gliene fui sempre molto grata.
Nella nostra famiglia, “il giorno delle cartoline di Natale” era una tradizione come i cappelletti in brodo di cappone, il panettone farcito e la lunga messa del 25 dicembre......e spesso era una giornata spolverata da un candido manto di neve che, come un soffice strato di glassa, rendeva ancora più dolce quel giorno.
Solitamente ci si ritrovava tutti insieme scegliendo la domenica di due settimane prima del Natale ed occorrevano in media una mattinata per l’assegnazione delle cartoline augurali ed un pomeriggio per completarne l’operazione di compilazione.
Anche la nonna contribuiva con il suo tocco a renderlo un giorno indimenticabile sfornando teglie di biscotti che mai riuscivano a raggiungere la tavola per colpa di una golosa voracità che giustificavamo con la fatica a cui eravamo sottoposti nella ricerca di frasi più o meno sentite e per le quali tutti ci davamo un gran daffare con risultati sinceramente mediocri e poco creativi.
Oggi, dopo trent’anni e grazie ad una spolverata di neve intravista dalla mia finestra, ricordo con estremo piacere uno dei giorni più belli dell’anno al quale avevamo dato un nome e che ci teneva uniti come in pochi altri momenti, facendoci divertire e dimenticare per un giorno intero i grattacapi che caratterizzavano le difficoltà di quegli anni.
Ho deciso, oggi a costo di sembrare una intramontabile romantica, andrò a comperare qualche decina di cartoline e, radunando la mia famiglia, che mi guarderà sicuramente con fare sospetto, ripristinerò, almeno per una volta: “il Giorno delle Cartoline di Natale”.