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8 lug 2010
QUEI RIBELLI DEL SECOLO D’ITALIA TANTO ODIATI DA B.
Il quotidiano finiano da dove partono le battaglie interne al Pdl
di Paola Zanca
Chi l’avrebbe mai detto che è al piano terra di un palazzo di via della Scrofa, al civico 43, che si combatte la guerra più aspra contro Silvio Berlusconi. Redazione de Il Secolo d’Italia, ex quotidiano di Alleanza Nazionale. Il posto dove ad ogni provocazione, si producono risposte. Porta di alluminio bianca, open space con le pareti rivestite in legno. La sala di comando è la prima a sinistra. Ma qui l’aria che si respira è quella da grande famiglia. Porte aperte, muri pochi, andirivieni continuo. Al timone, Flavia Perina e Luciano Lanna. Colpo su colpo, portano avanti la loro battaglia per la “chiarezza”. Non vogliono sentir parlare di rese dei conti, di attacchi e faide. Semplicemente dicono che nelle loro sedici pagine non c’è spazio per “la panna montata”.
Vanno dritti al solo, convinti che sia necessario “eliminare gli infingimenti” e che sia “sciocco” usare il politichese quando c’è qualcosa di scomodo da dire. Al Secolo non piacciono “i retroscena”, i “dietro le quinte”. Perfino quando Libero, pochi giorni fa, li ha accusati di costare troppo e non servire a nulla, hanno replicato alle malelingue con un editoriale dell’amministratore delegato, il deputato Enzo Raisi: “Meglio che sia tutto chiaro – dice la Perina – così anche il dibattito politico diventa più corretto. Negli anni scorsi abbiamo fatto una ristrutturazione importante (in tre anni, un milione e mezzo di euro di passivo in meno, ndr) ma la polemica di Libero non è economica, serve solo a chiedere ‘a cosa serve il giornale’”.
Per capire di che giornale parliamo, basta guardare la prima pagina di ieri. Foto di Daniele Capezzone. Titolo: “Il giorno dei falchetti”. Di spalla: “Ghe pensi mì primo atto: e cade la testa di Brancher”. In basso: “Un Pdl sull’orlo della crisi di nervi”, cronologia dei pasticci della maggioranza dal 22 aprile a oggi. “L’abbiamo fatto perché in questi giorni c’è chi parlava di ‘un complotto’ dei finiani. Ma, voglio dire, Brancher non ce l’ha mica messo Fini!”.
Quella di oggi, di prima pagina, non sarà meno tenera. L’articolo di Annalisa Terranova smonta pezzo per pezzo l’ultimo messaggio – per nulla cifrato – che il capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto ha mandato al “suo” presidente: “Fini – dice Cicchitto – ha affermato di essere ispirato dal principio della legalità. Voglio ricordare che il Pdl è il partito garantista per eccellenza e chi non conosce questa opposizione, non conosce la natura stessa del Pdl”. La Terranova snocciola le controrepliche: “Giovanardi sul caso Cucchi era garantista quando diceva che era morto per anoressia? Gasparri era garantista quando diceva che, anche se fosse stato condannato, a Vincenzo De Gennaro andava data una medaglia per aver liberato Genova? E la Santanchè che difende il diritto di privacy dei mafiosi? Non si può fare i garantisti con Dell’Utri e non con un ragazzo che dormiva alla Diaz”.
Ultimamente, quando li vogliono offendere li chiamano “fascisti”. Ma loro hanno l’impressione che ai berluscones serva un ripasso di storia. “Ci hanno detto che ce ne andremo il 25 luglio – ricorda Lanna – ma in quella data del ’43 la minoranza costrinse Mussolini a lasciare…dov’è il paragone storico?” Altre volte li accusano di essere troppo “di sinistra”, come è successo a Filippo Rossi, direttore di FareFuturo e animatore di Caffeina. Non sono piaciuti gli ospiti che ha chiamato al festival in corso in questi giorni a Viterbo: “Mi facessero l’elenco di dieci scrittori che loro catalogano a destra. Io non voglio scegliere per casacche. Meglio la misticanza della militanza”.
Ieri, Amedeo Laboccetta, finiano tornato da Berlusconi, su Il Giornale ha scritto che i dissidenti “sono quanti le dita di una mano”. La Perina quell’articolo non l’ha letto, ma “la conta” non l’appassiona. “Eccesso di zelo degli ex An votati alla causa del Cavaliere – la chiama – E poi se i finiani sono così pochi perché non li ignorano?”. Il problema sono i contenuti. “L’alibi della congiura della minoranza – dicono in redazione – serve a nascondere gli attriti con il Quirinale sulle intercettazioni e quelli con Tremonti sulla manovra. Ma quelli ci sarebbero anche senza Granata&Co. Non sono i finiani a disorientare l’elettorato, sono i Brancher e gli Scajola”.
Al Secolo, le pareti della stanza della direzione sono tappezzate di asini: è il motto della redazione. Un’immagine dice “somari sempre”. A fianco, c’è appesa la copia di un articolo del Corriere della Sera di qualche mese fa.
Evidenziate in verde, due dichiarazioni di Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri.
Il primo dice: “Il Secolo? Io non lo leggo”. L’altro aggiunge: “Non parlo del Secolo, non intendo fargli pubblicità”. Diceva Sofocle che “ciò di cui ha bisogno l’uomo è la memoria dell’asino che mai scorda dove mangia”. Gasparri e La Russa forse se lo sono dimenticato.
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