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13 lug 2010

TOGHE VERDINE



di Marco Travaglio

Chissà che fine han fatto gli inventori di fortunate cazzate Gallidellaloggia e i Pollidelbalcone sono letteralmente scomparsi, proprio ora che gli allegri conversari chez Vespa e chez Verdini dimostrano che l’uso politico della giustizia esiste eccome. Solo che lo fanno il governo o i suoi manutengoli. Il colore delle toghe politicizzate è l’azzurro-Verdini, il marron-Dell’Utri, il nero-Carboni/Carbone, come nella Prima Repubblica era il bianco-Andreotti, il rosé-Craxi, il grigio-Previti, il giallo-Gelli. Battaglioni di giudici furono trovati nelle liste della P2 o sul libro paga di Cesarone. Insabbiavano inchieste, aggiustavano processi, compravendevano sentenze, annullavano condanne di mafiosi per un timbro un po’ fané. Eppure – anzi proprio per questo – mai un’ispezione ministeriale, un’azione disciplinare, una convocazione al Csm, un dossier dei servizi, un attacco dalla stampa di regime. Queste persecuzioni spettavano di diritto ai giudici davvero indipendenti, bollati e perseguitati come “pretori d’assalto” e “toghe rosse”. Ora la storia si ripete, nella beata indifferenza dei garantisti da riporto e dei pompieri della sera. La signora Augusta Iannini in Vespa, collaboratrice di governi di destra e di sinistra, apparecchia cene per il premier plurimputato B., il banchiere plurimputato Geronzi, il sottosegretario indagato Letta e cardinali assortiti, ma la cosa non sembra interessare il Csm che dovrebbe tutelare l’indipendenza della magistratura non solo dalle minacce esterne, ma dagli inciuci interni. Vincenzo Carbone, fino al mese scorso primo presidente della Cassazione, fu nominato dal Csm sebbene insegnasse da anni all’Università di Napoli con doppio stipendio all’insaputa dell’organo di autogoverno: ora si scopre pure che dava del tu al traffichino del clan Carboni, il geometra avellinese Pasqualino Lombardi, che lo apostrofava “preside”, gli chiedeva di anticipare l’udienza su Cosentino, gli preannunciava telefonate di Letta e avvertiva gli amici che “con quello lì stiamo a posto”. Lui, come si conviene agli alti magistrati, rispondeva “statte ‘bbuono” e all’alba dei 75 anni s’interrogava: “Chi faccio dopo la pensione?”. Paqualino Settebellezze lo rassicurava: “Tranquillo, ne sto parlando con l’amico di Milano”. Ancora una settimana fa Carbone era candidato alla Consob. Uno come Lombardi che in un altro paese faticherebbe ad entrare in un bar sport discettava con gran familiarità della sentenza sul lodo Alfano con il presidente emerito della Consulta, Cesare Mirabelli, detto “’o professò”: “La donna della Consulta è amica sua, possiamo intervenire su questa signora? Mi stanno mettendo in croce gli amici miei, che poi sono anche amici suoi…”. E garantiva sul voto di Mancino, vicepresendente del Csm, per la nomina di Marra detto “Fofò” a presidente della Corte d’Appello di Milano. Missione compiuta. Marra si riuniva chez Verdini con i faccendieri Carboni e Lombardi e i giudici Martone e Miller, quest’ultimo capo degli ispettori ministeriali che da anni perseguitano i pm dipinti come politicizzati proprio perché non lo sono. Ieri Martone ha finalmente lasciato la toga dopo aver presieduto addirittura l’Anm. Ora si spera che il Csm vice presieduto da Mancino accompagni alla porta anche Marra e Miller, e reintegri al loro posto De Magistris, la Forleo e i pm salernitani Nuzzi, Verasani e Apicella. Già perché questi giudici onesti sono stati sterminati l’uno dopo l’altro dagli ispettori (Miller), dalla Procura della Cassazione (Martone) che attivava le azioni disciplinari, dal Csm (Mancino e Carbone) che condannava e dalle Sezioni Unite (ancora Carbone) che confermavano le condanne. Ora l’Anm cade dal pero e ammonisce: “Non vogliamo magistrati contigui al potere”. Che riflessi, ragazzi. Che faceva l’Anm mentre plotone di esecuzione delle toghe contigue al potere fucilava quelle non contigue al potere, a parte applaudire i fucilatori?
Nella foto: Denis Verdini coordinatore nazionale Pdl

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