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25 lug 2010

25 LUGLIO, VOI DOVE ERAVATE?


di Maurizio Viroli
A giudicare da vari segni, potremmo essere, fatte le debite distinzioni, alla vigilia di un nuovo 25 luglio. Allora, nel 1943, Benito Mussolini, capo del governo, cadde per iniziativa di chi, fino ad allora, lo aveva sostenuto (il re e i gerarchi del fascismo); oggi, Silvio Berlusconi sembra barcollare sotto i colpi degli alleati di governo.
L'eventuale caduta di Berlusconi non potrebbe che essere salutata come un evento positivo per l'Italia, a meno che, come qualcuno lascia intendere, non lasci Palazzo Chigi per il Quirinale.
Berlusconi è il centro di un vasto sistema di corte che dipende dal suo potere. Privato del governo, non sarebbe più in grado, come sta facendo ora, di controllare, premiare e proteggere le cortigiane, i cortigiani ed i suoi servi. Il sistema sarebbe di conseguenza irrimediabilmente incrinato.
Anche se gli alleati causeranno la caduta di Berlusconi, dovranno rispondere ad una domanda che ogni cittadino ha il diritto ed in dovere di rivolgere loro: "dove eravate voi quando Silvio Berlusconi costruiva e rafforzava il suo potere devastando la libertà di tutti?". Poichè dovranno ammettere che erano con Berlusconi e che lo hanno aiutato ad erigere il suo sistema di corte, dovranno avere la bontà di spiegare in che cosa e perchè il Berlusconi del, poniamo, 2001-2006, sarebbe diverso dal Berlusconi del 2010 a tal segno che il primo doveva essere sostenuto, il secondo deve essere combattuto. E' bene non dimenticare che senza alleati non avrebbe avuto la maggioranza per governare e l'Italia si sarebbe risparmiata quindici anni di degrado civile.
A parte il fatto che Berlusconi produsse da subito leggi pessime ed elevò corruttori di giudici e collusi con la mafia alle alte cariche dello Stato, resta il fatto che, fin dall'inizio, egli era al centro di un potere incompatibile - per la sua stessa natura - con la libertà repubblicana.
Non occorre una particolare saggezza politica per capire che nessuna repubblica democratica è in grado di difendersi dal potere enorme di un uomo che concentra nelle sue mani una ricchezza sterminata, un partito personale ed un impero mediatico! Se non erano in grado di capire, e questo vale anche per parte dell'opposizione, almeno avrebbero potuto ascoltare coloro che seppero vedere bene, proprio perchè erano liberali. Norberto Bobbio, per citare un solo esempio, scrisse a chiare lettere nel "Dialogo" intorno alla Repubblica che Forza Italia era un partito eversivo.
I casi sono due: o questi signori non capirono per difetto di sapienza politica, e allora non meritano di essere leaders e devono ritirarsi in buon ordine a svolgere attività più consone ai loro talenti; o capirono perfettamente e, gli alleati, decisero egualmente di sostenere Berlusconi, l'opposizione, di non combatterlo, allora sono tutti complici e, a maggior ragione, dovrebbero lasciare il posto ad altri che sappiano parlare un linguaggio davvero alternativo a quello berlusconiano e sappiano far seguire alle parole azioni coerenti.
Il presidente Massimo D'Alema ha rilevato che "la politica non si fa con il racconto, con il linguaggio, con la letteratura, con la poesia".
Dovrebbe sapere che la grande politica, quella che sa dirigere processi di emancipazione morale e covile, quella che servirebbe oggi in Italia, quella per esempio di Obama (che peraltro raccoglie voti e vince, mentre i realisti nostrani li disperdono e quindi perdono)non si fa soltanto con i ragionamenti (pur necessari). Dovrebbe sapere che in Italia non si avverte davvero il bisogno di nuovi calcoli, ma di rinnovate o ritrovate passioni civili.
Per tornare all'analogia dalla quale sono partito, l'emancipazione dal fascismo non si è realizzata certo il 25 luglio 1943, ma il 2 giugno 1946, quando, il popolo italiano, guidato da uomini che sapevano suscitare grandi speranze, decretò che anche la monarchia, che nel 1922 aveva chiamato Mussolini al governo e lo aveva sostenuto per vent'anni, dovesse andarsene. Così, l'emancipazione dal sitema berlusconiano non avverrà quando al governo ci saranno vecchi alleati insieme ad accomodanti oppositori, ma quando a guidare la Repubblica ci saranno donne e uomini che, alla domanda "dove eravate voi?", potranno rispondere "dall'altra parte. Sempre!"
viroli@princeton.edu

NOTIZIE IN BREVE


VIOLENZE: ANCORA VIOLENZE CONTRO LE DONNE
Ha aggredito e accoltellato l’ex moglie nel suo appartamento di Monopoli poi è fuggito. Ma i carabinieri hanno trovato l’uomo di 41 anni già denunciato per maltrattamenti in famiglia. L’ex moglie presenta lesioni che guariranno in un mese. A Roma, invece, agenti sono entrati in un appartamento dove hanno trovato una donna sul pavimento, tumefatta. Un condomino aveva segnalato invocazioni d’aiuto: a ridurre così la donna, il suo convivente arrestato per violenza privata e sessuale. Infine restano gravi le condizioni della donna di 32 anni ricoverata in rianimazione e ricoperta di ustioni dopo che il suo ex – arrestato – le aveva dato fuoco venerdì nella sua casa a Cave, provincia di Roma.


LIBIA – ITALIA
LE TRIVELLE BP NEL MEDITERRANEO
La British Petroleum – messa alla gogna negli Usa per la gigantesca chiazza che infesta da aprile le acque del Golfo del Messico – comincerà nelle prossime settimane perforazioni nel Mediterraneo, e più precisamente nel Golfo Libico della Sirte, a poco più di 50 km dalle coste siciliane.

IRAN


“LA SUPERSTIZIONE DEL POLPO PAUL”
Il polpo Paul, diventato famoso con le sue previsioni dei risultati delle partite dei Mondiali sudafricani, è stato tra gli obiettivi degli attacchi verbali lanciati oggi dal presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, secondo il quale storie come questa sono esempi dei “metodi di propaganda e delle superstizioni” dell’Occidente. Lo scrive l’agenzia Irna. Quelli che credono in cose come queste “non possono essere i leader delle nazioni del mondo verso la perfezione umana”, ha affermato Ahmadinejad.


LONDRA
UN ORDINE AL PAPA DAI BUS DI LONDRA: DONNE PRETI SUBITO
Papa Benedetto, ordina subito donne preti”: è questo l’invito, anzi l’imperativo, che Papa Benedetto XVI troverà scritto su dieci bus di Londra, di quelli rossi a due piani, in servizio tra la Cattedrale di Westminster e la sede del Parlamento, quando a settembre andrà in visita in Inghilterra. L’iniziativa è di un gruppo progressista cattolico dal nome esplicito (Catholic Women’s Ordination – CWO), che ha pagato 10mila sterline: i poster resteranno sulle fiancate del bus dal 30 agosto per un mese. Della ‘provocazione’, dà notizia il settimanale cattolico Tablet, ripreso dal Guardian. Il Papa inizierà la sua visita il 16 settembre e resterà a Londra due giorni, recandosi, tra l’altro, alla Cattedrale e al Parlamento. La settimana scorsa, il Vaticano aveva ribadito in termini duri il proprio NO all’ordinazione di donne preti, definendo tal gesto fra i crimini peggiori per la legge ecclesiastica. Il no, e il fatto che la questione sia stata trattata insieme alla pedofilia, hanno avuto larga eco negativa in Gran Bretagna: le donazioni al Cwo si sono impennate, consentendo l’affitto delle fiancate del bus, scena, da circa un anno, di una guerra di controversi slogan atei e religiosi.

22 lug 2010

ALTRA NOTIZIA SHOCK: "I GAY SONO MALATI E DEVONO ANDARSENE". BUFERA SU UN SINDACO PD DEL TREVIGIANO

di PAOLA ZONCA

Il Piave è una lunga lingua di acqua che divide in due la provincia di Treviso. Due dialetti, due prefissi del telefono, due aree produttive, due diocesi. In totale, 95 comuni. Bene, in tutto questo, escluso un bar del centro città che una sera a settimana fa "serata gay" e uno spazio messo a disposizione gratuitamente dalla Cgil, non c'è un posto dove gli omosessuali possano vivere alla luce del sole.
Battute e dileggi, aggressioni e violenza. Forse, il sindaco di Spresiano, provincia di Treviso, dovrebbe chiedersi perchè il greto del fiume si sia trasformato in un'alcova a cielo aperto. Invece il primo cittadino Riccardo Missiato ha pensato bene di cacciarli perchè "SONO MALATI".
La campagna che si inaugura oggi si chiama "Estate sicura" e prevede il coprifuoco fino al 22 settembre per chiunque si incontri sul Piave. Fin qui, qualcuno potrebbe pensare che non ci sia nulla di strano: ci sono ordinanze che vietano di tutto, perfino mangiare un panino per strada o sedersi su una panchina, figuriamoci se non ne arrivava una per chiudere quel posto pubblicizzato sul sito travelforgay.com e descritto come "molto affollato di giorno e di notte". Ma Missiato, alla guida di una lista civica appoggiata dal centrosinistra, ha dato alla sua ordinanza una motivazione decisamente fuori luogo. Non ne fa una questione di ordine pubblico, dice che i gay "sono malati".
Chi vive nei dintorni di Spresiano non ci può credere: il sindaco sarà stato frainteso, avrà voluto dire un'altra cosa. Invece, a chiunque l'abbia chiamato, ha ripetuto la stessa dichiarazione rilasciata ai microfoni dell'emittente locale AntennaTre: "Non sono il giudice di nessuno, io sono contro il malcostume, contro la prostituzione".

DEVONO FARSI "CURARE"
Non gli piace emettere sentenze, ma sui gay ha le idee chiare: "Devono farsi curare se sono curabili o se non devono stare dentro le loro mura, perchè non possono invadere il territorio e la libertà altrui. Questa non è la prostituzione femminile, questa è maschile e non può passare inosservata".
Giovanni Chiara è il presidente del comitato provinciale dell'Arcigay di Treviso. E non ha dubbi che l'estate sicura di Mussiato sia l'ennesima puntata della "enorme campagna di odio e violenza, fisica e psicologica" che colpisce gli omosessuali del Nord Est. Un clima, "fomentato ora dalle parole del sindaco", che costringe molti omosessuali "alla clandestinità". Comincia così, la strada che porta alle rive del Piave. Ma non è con le ordinanze che si risolve il problema. "Il sindaco lo ha solo evitato - sostiene Chiara - il greto del fiume è lunghissimo, la situazione si ripresenterà qualche chilometro più in là, nel territorio di un altro Comune. Il problema è la totale assenza di spazi ricreativi e culturali per omosessuali.
Il degrado è la diretta conseguenza della mancanza di luoghi qualificati e qualificanti: se esistessero spazi dove gli omosessuali potessero vivere la propria vita ricreativa in maniera dignitosa, alla luce del sole, queste cose non succederebbero".

L'ARCIGAY CHIEDE LE DIMISSIONI
Ora, resta da capire se Riccardo Mussiati possa ancora rimanere seduto tranquillo sulla poltrona di sindaco.
"Le sue dichiarazioni sono gravissime - dice Alessandro Zan, esponente di Sinistra Ecologia e Libertà e presidente di Arcigay Veneto - E' inaccettabile che chi riveste posizioni pubbliche come quella di sindaco, il quale dovrebbe rappresentare tutti i cittadini compresi quelli omosessuali, se ne esca con dichiarazioni razziste e diffamatorie in modo gratuito". "Sono contenta - aggiunge la deputata Pd Paola Concia - che il Pd abbia deciso di dissociarsi immediatamente dalle dichiarazioni e dalle azioni del sindaco Missiato. Invito anche gli organi locali del mio partito a fare pressione sul sindaco affinchè rinunci ai suoi insani propositi e chieda scusa per le sue improvvide parole. In mancanza di ciò - aggiunge - spero che il Pd voglia prendere in seria considerazione l'ipotesi di ritirare il proprio appoggio ad una persona evidentemente incompatibile con i valori di rispetto, accoglienza e non discriminazione propri del Partito Democratico".

COMMENTO:
Quello che ancora desta senso di smarrimento e sgomento in un'epoca così evoluta come quella attuale, sono ancora i continui atteggiamenti razzisti accompagnati da soprusi e vere e proprie violenze gratuite nei confronti degli omosessuali. E' davvero inqualificabile che si debba ancora pensare di ricorrere ad assurdi escamotage tipo "serate gay" o "luoghi attrezzati per omosessuali" per dar loro la possibilità di vivere ciò che gli spetta già di diritto. E' assolutamente inaudito che gli omosessuali, che in termini di diritti e di doveri sono costituzionalmente identici agli eterosessuali, che debbano essere "ghettizzati" al pari di persone socialmente inadeguate e che debbano essere ridotti, a dover richiedere spazi qualificati e qualificanti, per espletare la propria vita ricreativa alla luce del sole, onde "....evitare il DEGRADO a cui siamo costretti ad assistere", (gli omosessuali che conosco non hanno mai defecato per strada, ruttato in pubblico e non si sono mai tirati fuori l'arnese per il puro piacere di dare spettacolo).
E' INAUDITO, INAMMISSIBILE!
Se il sindaco Missiato, capace di tali misere dichiarazioni, è stato appoggiato da un PD inconsapevole di ciò che stava portando alle elezioni politiche chiediamo di reclamarne le immediate dimissioni, ma se nonostante ciò, hanno ritenuto di candidarlo ugualmente......da oggi straccio mi dichiaro totalmente estranea a qualsiasi idea politica esistente sul territorio. L'atteggiamento meschino e inqualificabile di questo inetto personaggio, non si riconosce in alcuna ideologia di sinistra ma, al contrario, ricopre perfettamente lo standard analfabetico e razzista della Lega Nord per la quale, solo in tal caso, sarebbe opportuno creare veri e propri "serragli" per offrire ai suoi tesserati e dirigenti politici la possibilità di espletare le proprie funzioni in uno spazio rigidamente contenuto al fine di evitare danni irreparabili, benchè dobbiamo ammettere che alla comicità di certi suoi personaggi saremmo costretti a rinunciarvi. Vedi allegato e divertiti.



Il PD CHIEDA LE IMMEDIATE DIMISSIONI DI MISSIATO.
(agb)

ASSOLTO SAVIANO


GOMORRA, NON E' PLAGIO

Il Tribunale di Napoli ha dato ragione a Roberto Saviano respingendo interamente la tesi degli editori dei quotidiani "Cronache di Napoli" e "Corriere di Caserta", secondo cui l'autore avrebbe utilizzato per "Gomorra" parti di loro articoli. Con lo stesso provvedimento il Tribunale di Napoli ha invece condannato proprio gli editori di Cronache di Napoli e Corriere di Caserta per aver copiato articoli che lo scrittore aveva pubblicato su Repubblica e altri quotidiani. "A volte - commenta lo scrittore - la verità è più forte del fango. Sono estremamente felice per la sentenza del Tribunale di Napoli che spero metterà finalmente a tacere chi in questi anni, soprattutto in Campania ha tentato di delegittimare il mio lavoro insinuando che fosse una copia di cose già dette e scritte da altri. Un modo banale per invitare a nascondere le mie parole, ancora una volta a non porre attenzione sui meccanismi criminali".

E VERDINI BATTEVA CASSA


I sospetti dei pm: 2.8 milioni di euro ricevuti da persone vicine a Carboni per sostenere l’eolico

di Marco Lillo e Ferruccio Sansa

“Ti volevo ricordare anche del mio problema a Firenze…sul giornale eh ricordatene….Flavio”. Siamo nell’estate del 2009. La nomina di Ignazio Farris, funzionario dell’Arpas sarda gradito a Carboni, sembra fatta. E Denis Verdini butta lì una frase che per gli investigatori ha un peso decisivo. Macchiè Berlusconi fiorentino. A leggere gli atti dell’inchiesta P3 emerge un ritratto inedito di Verdini: un uomo che frequenta i salotti del potere nazionale e della nobiltà fiorentina, ma in realtà è pressato dal bisogno di denaro. Un potente che, però, pare costretto a gettarsi nelle braccia di Flavio Carboni per pagare gli stipendi ai giornalisti dell’edizione toscana del Giornale. Un affresco fino a pochi mesi fa impensabile di Verdini e di quella squadra di fedelissimi a cavallo tra politica, editoria e mattone. Due nomi su tutti: Massimo Parisi e Rocco Girlanda soci di Verdini promossi in Parlamento. Esponenti del centrodestra che hanno interessi nel mattone e con i loro giornali magari strizzano un occhio alle giunte di centrosinistra con le quali devono lavorare.
IL faldone dell’inchiesta che racconta il sostegno dato da Carboni e dai suoi uomini a Verdini e Parisi si rivela anche il ritratto di un uomo in difficoltà. Per raccontare questa storia bisogna cominciare dall’ultimo passaggio, dalla testimonianza resa da Vincenzo Catapano funzionario della Banca d’Italia che ha compiuto un’ispezione al Credito Cooperativo Fiorentino, presieduto dal 1990 da Verdini: “Abbiamo provveduto a esaminare la posizione della Società Toscana di Edizioni s.r.l. che rappresenta un grande fido per la banca, in quanto l’esposizione è superiore al 10% del patrimonio”. La società Toscana Edizioni (Ste) è l’editore del Giornale della Toscana. Ma la storia di quel debito comincia nel 2004 quando la Società Toscana di Edizioni impegna 2,6 milioni di euro alla voce “credito per preliminare acquisto quote”. Che cosa significa? La Finanza annota: “L’operazione sembra essere collegata ad una operazione posta in essere dalla Ste su un immobile fino ad allora condotto in leasing. La Ste ha riscattato tale immobile dalla società MPS Leasing e Factoring e lo ha rivenduto alla Agrileasing (che poi lo ha concesso nuovamente in leasing alla società Edicity, facente capo alla signora Fossombroni, moglie di Verdini) conseguendo una plusvalenza di 2,6 milioni”.
Un groviglio di operazioni. La Ste versa nelle tasche di Verdini, della moglie e di Parisi 2,6 milioni con la causale “acquisto quote”. Una somma girata a Edicity società della galassia Verdini.
Una “patata bollente” per il Credito
TUTTO RISOLTO? Mica tanto. Il credito di 2,6 milioni rimbalza nei bilanci fino al 2009, una patata bollente che rischia di ustionare la Ste e il Credito Cooperativo Fiorentino. E’ qui che intervengono i salvatori: Antonella Pau, compagna di Carboni, e Giuseppe Tomasetti, suo collaboratore. In pratica gli uomini di Carboni “rilevano un credito connesso a un preliminare di acquisto di quote partecipative non meglio specificato, ma citato nel bilancio della società”. Ecco, gli investigatori dovranno capir3 se questo credito corrisponda a un effettiva operazione di dare-avere o se sia solo una voce inserita nel bilancio per giustificare l’uscita di una somma.
Ma è un dettaglio. L’essenziale è che Verdini e le sue società avevano bisogno vitale dei soldi: così il 5 giugno 2009 Antonella Pau si presenta al Credito Fiorentino con venti assegni da 12mila euro per la Ste di Verdini. Poi altri 250mila euro. In tutto fanno 500mila. Poi eccone 800mila da Tomassetti (collaboratore di Carboni). Quindi un milione di euro da Maria Laura Scanu Concas, moglie di Carboni. Una boccata d’ossigeno per Verdini e soci: 2,8 milioni. Così la Ste cede il credito di cui era in possesso. Nello stesso momento, secondo gli investigatori, un rappresentante della Sardinia Renewable Energy trasferisce un milione alla moglie di Carboni e 1,8 milioni ad Antonella Pau.
Il cerchio sarebbe completo: i soldi, sostengono i pm, escono dalle società impegnate nell’eolico, passano da Carb oni e arrivano a Verdini. Che farà pressing su Ugo Cappellacci per realizzare impianti eolici. Del resto è proprio Carboni in un’intercettazione a stimare in 800mila euro per megawatt il valore di una concessione. E gli impianti di ultima generazione producono 100 megawatt, cioè 80 milioni di euro. Verdini replica: “Si tratta di risorse personali, frutto di enormi sacrifici economici fatti da me, dalla mia famiglia e dai miei soci”.
Ma è Luciano Belli, commercialista della Ste, a raccontare come i soldi freschi di Carboni siano stati utilizzati da Verdini e Parisi: “Il denaro è servito per pagare gli stipendi dei dipendenti e altre sofferenze”. Insomma, Carboni ha contribuito a salvare il Giornale della Toscana.
Quegli amici di Denis
E QUI NEGLI atti degli investigatori entrano altri nomi noti. A cominciare da Rocco Girlanda, parlamentare del Pdl. Uomo di Verdini, come Parisi: un suo socio finito sui banchi del Parlamento. Racconta ancora Belli: “Antonella Pau e Giuseppe Tomassetti fanno riferimento ai nostri soci perugini della società Edi.bi srl in persona dell’onorevole Girlanda e dell’imprenditore edile perugino Gino Mariotti”: Proprio quel Girlanda non indagato, ma già noto agli investigatori che si occupano della Cricca per un’intercettazione in compagnia dell’amico Denis. Girlanda, più noto come editore del Corriere dell’Umbria, è stato però, fino a pochi anni fa consigliere di amministrazione del cementificio Baretti e punta a ottenere dal più grande gruppo di costruzioni fiorentino, la Btp, una fornitura di calcestruzzi da 40 milioni: quella per costruire l’autostrada del Quadrilatero tra Marche e Umbria. E qui Verdini interviene a favore di Girlanda con il suo amico Riccardo Fusi (patron della Btp): “Riccardo, sono qui con Rocco che mi domanda: c’è qualche problema lì?”. Fusi balbetta: “No…allora….detto…ascolta me…allora….io venerdì vado giù”. Verdini si rivolge a Girlanda orgoglioso: “Vedi come fa il bravo?”.
Tanti amici, ma anche tanti favori da restituire. E tanti debiti per il Credito Cooperativo Fiorentino che secondo la Banca d’Italia avrebbe fatto fidi per un decimo del patrimonio alle società di Verdini. Che alle finanziarie degli amici aveva erogato dieci milioni di euro, un quinto del patrimonio.

IL PREMIER, LA “NUOVA LOGGIA” E S. PIETROBURGO

Un viaggio semi-segreto in Russia cambia i programmi della “P3”

di Rita Di Giovacchino

Marcello, il Verde, l’Amico di Milano. Nomi ricorrenti nelle migliaia di pagine, fitte di intercettazioni. E alla fine tra gli inquirenti si è fatta strada la convinzione che siano proprio loro il vertice della nuova P3. Poi c’è la “rete” di sodali, alcuni con ruoli di spicco, come Paquale Lombardi e Arcangelo Martino, utili a fare da raccordo tra la “cupola” della società segreta e ambienti politici, istituzionali e finanziari. Del gotha fa certamente parte l’eccellentissimo Carboni insieme con Denis Verdini e Marcello Dell’Utri. Il primo non è solo il coordinatore del Pdl, ma anche uomi di banche e di affari. Tre uomini che per un motivo o per l’altro sono molto vicini al presidente, cioè a Silvio Berlusconi o a quel “Cesare” che negli atti giudiziari ricorre almeno 19 volte e che secondo una nota dei carabinieri serve a coprire l’identità del premier.
Non si tratta di pure illazioni. Dalle diciannovemila pagine emerge un episodio che lascia intravedere incontri e contatti, tra il vertice della cricca e il presidente, che se alla fine non sono avvenuti è stato a causa di un suo impegno internazionale. Il 21 ottobre 2009 è per Carboni una giornata frenetica, preparata da una concitata serie di telefonate tra lui e Arcangelo Martino, intervallate da altre con Dell’Utri, tutte in vista di un incontro “al massimo” livello che sarebbe dovuto avvenire, in un primo momento, attorno alle 20, dopo una breve riunione preparatoria “con i nostri amici”. Tra questi spicca un misterioso Don Alfonso. Ma il 21 ottobre è previsto anche un pranzo in casa di Verdini con i “forlivesi” (imprenditori interessati agli impianti eolici in Sardegna, disposti a finanziare un “fondo” che poi confluirà presso il Credito Cooperativo, la banca di Verdini).
I preparativi all’evento iniziano il 16 ottobre. Alle 17.35 Carboni riceve una telefonata da Martino, in cui si parla di un incontro fissato per il mercoledì successivo alle venti. Nell’accennare all’abboccamento, Carboni dice: “Sì, cioè va preceduto per l’incontro massimo poi” Può essere il giorno dopo non so se m’hai capito….e poi la presenza è circoscritta, al massimo due, mi sembra giusto…ecco non può essere esteso, lui ti chiede due e noi due saremo”.
Il 19 c’è una nuova telefonata tra i due, Carboni parla del pranzo in casa Verdini, di cui viene sottolineata l’importanza. Dice Carboni “Sì però…però bisogna vedere se c’è…Cesare”. Martino appare titubante: “A me….a me pare che non c’è”: Carboni insiste: “Lo dobbiamo fare perché sennò arriviamo tardi”.
L’operazione però fallisce e come annuncia Carboni a Martino il giorno dopo: “Domani c’ho appuntamento a pranzo come ti ho detto con i nostri amici” Ma il presidente invece va a San Pietroburgo!”.
In effetti il 21 Berlusconi va a San Pietroburgo. Scrivono i giornali: “Visita privatissima, misteriosa, che non compare in nessun’agenda ufficiale. Dopo l’incontro con il re Abdallah di Giordania, Silvio Berlusconi parte per San Pietroburgo dove ad attenderlo troverà il suo amico Vladimir Putin…”. Nessuno lo sapeva, solo Arcangelo Martino con due giorni di anticipo. Il 21 ottobre in casa di Verdini si discuteva di affare, impianti eolici, e anche soldi, soprattutto soldi. Perché mai avrebbe dovuto essere presente Berlusconi e perché, secondo il primo progetto, avrebbe dovuto incontrarsi in serata con Carboni e Martino? Non stupisce che l’inchiesta abbia imboccato il filone finanziario. La procura ha affidato alla Gdf una nuova indagine che prevede accertamenti a tappeto su tutti i conti correnti, compresi quelli non più attivi, apertgi sia da Verdini che da Carboni dal 2004 a oggi negli istituti bancari del Gruppo Unicredit. A partire dal pranzo con gli amici forlivesi forse si vuole capire se attraverso quei conti correnti siano state effettuate operazioni illecite o siano comunque transitati fondi riconducibili a tangenti.



COMMENTO:
Ride ben chi ride ultimo ;-)))

19 lug 2010

VIDEO DA ASCOLTARE, VEDERE, ANALIZZARE.......E SU CUI RIFLETTERE



NON SAREBBE IL CASO CHE CI FOSSERO PIU' "BORSELLINO" A PRESIEDERE LE GRANDI ISTITUZIONI POLITICHE ANZICHE' I VARI "DELL'UTRI", "BERLUSCONI", "CUFFARO", "COSENTINO", "VERDINI" CHE PUZZANO DI LETAME DA LONTANO UN MIGLIO?

17 lug 2010

TOR CRESCENZA


“Grazie Cesare Silviolo, sei il premier in cui tutti noi italiani speravamo, sei colui che ci rappresenta al meglio; la nostra crisi è la TUA crisi, la nostra morigeratezza imposta dalla recessione, è dimostrata dalla TUA sobrietà di comportamento e ce lo stai confermando con la rinuncia alle tue tanto agogniate vacanze per rimanere al nostro fianco, lavorando in un misero edificio nel quale vivrai l’intero mese di agosto pensando esclusivamente al miglioramento di una popolazione ormai provata e stanca della situazione attuale, e di questo te ne saremo sempre grati”.
Lunga vita al Premier!

Il piccolo grande Cesare Silviolo rinuncerà alle vacanze estive per riorganizzare il partito che troppo velocemente sta perdendo quota cedendo consensi a rotta di collo ma….non lo farà in sordina trincerandosi nelle stanze-ufficio di Palazzo Grazioli, no, lui ama far parlare di sé, gode nel lasciare segni della sua opulenza esattamente come un cane non si può esimere dal lasciare tracce come marca del territorio, e stavolta lo farà prendendo in affitto un intero castello per lavorare insieme al suo laborioso staff.
Il castello di cui parliamo è quello di Tor Crescenza vicino a Roma, il meraviglioso regno di Sofia Borghese Ferrari, figlia del Principe Scipione Borghese e discendente di Papa Paolo V.
Alla faccia della crisi, dei tagli, della miseria che avanza e della solidarietà nei confronti della “generazione 1000 euro”, questa stupenda reggia si trasformerà nel quartier generale estivo dei berluscones.
Già lo sentiamo il nostro Presidente del Consiglio: “Sono certo che il mio ‘grande sacrificio’ verrà apprezzato dall’intero popolo italiano” e c’è da temere che anche stavolta gli italiani se la berranno.
(agb)

15 lug 2010

CLASSE DIGERENTE



di Marco Travaglio

Ricapitolando. Il Premier ha due processi per frode fiscale e appropriazione indebita, uno per corruzione giudiziaria e un’indagine per minaccia a corpo dello Stato, senza contare prescrizioni, reati depenalizzati (da lui), amnistie, insufficienze di prove, le archiviazioni per decorrenza termini. Il suo braccio destro Previti è un pregiudicato per due corruzioni giudiziarie. Il suo braccio sinistro Dell’Utri è un pregiudicato per false fatture e frode fiscale, poi ha una condanna in appello per mafia, un processo per estorsione mafiosa, uno per calunnia pluriaggravata e un’inchiesta per associazione segreta (la P3). Il suo coordinatore Verdini è indagato per corruzione e P3. Il suo vice coordinatore Abelli l’hanno appena beccato a prender voti dalla ’ndrangheta. I suoi ministri Matteoli e Fitto sono a processo, l’uno per favoreggiamento, l’altro per corruzione. Altri due, Bossi e Maroni, già pregiudicati. Fra i sottosegretari Letta e Bertolaso sono indagati, Brancher è imputato, Cosentino ha un mandato di cattura per camorra e i pm di Roma stanno valutando la posizione del viceministro della Giustizia Caliendo, detto “Giacomino” dai compari di P3. Questo governo-lombrosario gode della piena fiducia (35 volte in due anni) del Parlamento, e ci mancherebbe: lì siedono 24 pregiudicati e 90 fra imputati, indagati, prescritti e condannati provvisori. Anche al Parlamento europeo ci rappresentano condannati (Patriciello, Borghezio, Bonsignore) e indagati (tipo Mastella). In omaggio al federalismo penale, frequentano assiduamente procure e tribunali un bel po’ di sindaci: dalla Moratti (indagata per smog e aTosi e Gentilini (condannati per razzismo), da De Luca (imputato per associazione per delinquere, concussione, truffa, falso) a Cammarata (inquisito per abuso). E sono indagati cinque governatori regionali su 20: Formigoni (smog) Lombardo (mafia e abuso), Scopelliti (imputato per omissione d’atti d’ufficio e di recente beccato a cena col boss), De Filippo (favoreggiamento), Iorio (concussione e abuso). L’ex governatore siciliano Cuffaro, condannato in appello a 7 anni per favoreggiamento mafioso, è imputato per concorso esterno e il pm ha appena chiesto per lui altri 10 anni di galera. I vertici della Protezione civile vagano fra l’ora d’aria e i domiciliari. Indagati pure il cardinale Sepe e un paio di gentiluomini di Sua Santità. L’erede al trono Vittorio Emanuele di Savoia è imputato per associazione a delinquere. Ottimi anche due presidenti emeriti della Corte Costituzionale: Mirabelli era intimo del faccendiere Pasqualino Lombardi; Baldassarre è indagato per millantato credito. L’ex governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, è sotto processo per l’aggiotaggio delle scalate bancarie. Ben piazzato il Gotha di Confindustria, col gruppo della presidente Marcegaglia che ha patteggiato per corruzione e il padre della Emma, Steno, fresco indagato per smaltimento illegale di rifiuti tossici. Il gruppo Fiat-Agnelli sfila in tribunale con Gabetti e Grande Stevens, la Telecom modello Tronchetti con gli spioni della Securitiy, e poi Fastweb, Parmalat, Finmeccanica, Unipol, Impregilo, Ligresti, Geronzi…Ottime le performance di forze dell’ordine e servizi segreti: il Sismi di Pollari & Pompa alla sbarra per i dossier illeciti, Il capo del Dis, De Gennaro, condannato in appello a 16 mesi per istigazione alla falsa testimonianza sui pestaggi del G8, per i quali hanno collezionato 73 condanne fra dirigenti e agenti della Polizia; una dozzina di 007 indagati per i depistaggi sulle stragi; l’ex comandante del Gdf, Speciale, ha rimediato in appello 18 mesi per peculato; il comandante del Ros, generale Ganzer, s’è appena guadagnato 14 anni in primo grado per traffico internazionale di droga, mentre il predecessore Mori è imputato per favoreggiamento a Provenzano e indagato perché ai tempi delle stragi trattava con Cosa Nostra, infatti godono entrambi della “piena fiducia” del governo, e anche del Pd. Ma noi, dico noi miseri incensurati, dove abbiamo sbagliato???

Commento:
Qualcuno dovrebbe gentilmente spiegarmi COME non si possa cadere in tentazione, quando i massimi esponenti delle più grandi istituzioni del Paese, chi in un modo, chi in un altro, chi facendo man bassa nel “breviario” penale, ci insegna a delinquere senza il minimo pudore e dimostrando di farla franca rimanendo incollato alla propria poltrona da privilegiato con il benestare di buona parte del popolo italiano che, ironia della sorte, lo difende ancora a spada tratta, dopo tutto quello che, fonti attendibili, ci raccontano quotidianamente attraverso i loro documenti.
Ricordo che alla tenera età di 15 anni, rubai un capo di abbigliamento intimo in un grande magazzino, all’epoca molto alla moda. Alla porta d’uscita già mi attendevano due energumeni alti almeno un paio di metri ciascuno, che mi portarono, con modi assolutamente poco galanti, al cospetto della cattivissima direttrice del punto vendita, la quale mi prospettò, in caso avessi deciso di intraprendere la strada della delinquenza, una vita d’inferno e un futuro da 41bis…….forse, la povera signora, non sapeva che, col passare degli anni, le cose sarebbero cambiate radicalmente e che invece oggi, se non delinqui, non sei nessuno.
Ora, alla luce di quell’unica devastante esperienza che ha segnato totalmente la mia vita, ho fatto dell’onestà e dell’incorruttibilità un punto fermo sul quale ho basato non solo il mio modo di interpretare la vita, ma anche l’educazione di mia figlia, nonostante mi capiti a volte di provare inadeguatezza nei confronti di una società che di questi valori ne ha fatto, in tanti casi, addirittura motivo di derisione.
Credo che se ci interessa il destino del nostro Paese e soprattutto delle nostre future generazioni, sia giunto il momento di rimboccarci le maniche e di iniziare un’accurata selezione della classe politica attraverso l’informazione, la documentazione, le notizie date da giornalisti autorevoli ed aggiornati (evitando accuratamente la stampa Minzoliniana definita ormai “parodia” di giornalismo reale e dalla quale molti giornalisti seri hanno già preso fortunatamente le dovute distanze), per lanciarci alla ricerca di politici ancora "PULITI". Solo attraverso la nostra coscienza politica informata e ripulendo il governo dalla “marmaglia” di omuncoli corrotti ed indecenti che oggi lo anima, potremo riconquistarci finalmente una reputazione che in epoche lontane è stata fonte d’ispirazione per altri paesi, ma che oggi lo è solo per i loro comici.
(agb)

13 lug 2010

COSENTINO E DELL’UTRI LA P3 A GONFIE VELE




Indagati: ma solo il sottosegretario è in bilico

di Rita Di Giovacchino e Sara Nicoli

Anche Nicola Cosentino e Marcello dell’Utri sono indagati associazione per delinquere e violazione della legge Anselmi nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Roma, partita da un’indagine sulle pale eoliche e approdata alla scoperta della nuova P2 (o P3 come qualcuno l’ha già ribattezzata). La conferma è arrivata ieri dal Procuratore delle Dda romana Giancarlo Capaldo. Anche se non sorprende perché dalle carte dell’ordinanza già emergeva il loro ruolo egemone nel tentativo di pilotare affari, nomine politiche ma anche importantissime decisioni di organi costituzionali. Ma sono soprattutto le biografie, non solo politiche, di Cosentino e Dell’Utri a mettere in grave imbarazzo il premier. Che dopo quello di Verdini si ritrova due nuovi suoi fedelissimi impigliati nella rete.
Dunque non appare affatto una bocciofila per arzilli vecchietti quella messa in piedi dall’ex piduista Flavio Carboni, ma un’organizzazione potente che gode di coperture politiche a livello di governo. L’appartenenza alla medesima loggia di Carboni per Cosentino sarebbe dimostrata dal patto politico che doveva portare quest’ultimo alla presidenza della Campania, dalla sua consapevolezza e partecipazione al “complotto” contro il nuovo candidato Caldoro, come emerge da telefonate e sms intercorsi tra lui e il magistrato Pasquale Lombardi in quel periodo. Per Dell’Utri dall’antica amicizia con il faccendiere sardo e dalla sua partecipazione agli incontri in casa di Verdini, la cui posizione è oggi ancora più grave. Secondo i magistrati romani, Carboni, Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi utilizzavano l’associazione culturale “Centro studi giuridici per l’integrazione europea Diritti e Libertà” come strumento “per acquisire e rafforzare utili conoscenze nell’ambiente della politica e della magistratura”. Tra le iniziative, poi annullate in seguito al fallito intervento sul presidente della Corte d’Appello Alfonso Marra di fare accogliere il ricorso elettorale della lista Roberto Formigoni, c’è “l’invito al convegno milanese programmato per il marzo 2010” (e poi annullato) cui avrebbero dovuto partecipare i magistrati di Firenze che indagavano anche su Verdini.
E così, mentre la Procura di Roma mette nuovamente nel mirino il Palazzo, si ha come l’impressione che ormai il governo e la maggioranza abbiano già fatto il conto su chi salvare e chi buttare giù dalla torre. E’ il silenzio la chiave di lettura di come l’entourage berlusconiano sta vivendo queste ore. Così Cosentino, che si avvia a vivere la sua terza mozione di sfiducia (Di Pietro la presenterà oggi, il Pd apre e anche Casini ha detto Sì) è rimasto avvolto in un’aura di torpore, neppure considerato degno di un’agenzia di sostegno da parte di Capezzone. Voci che si rincorrono, parlano di un Berlusconi “amareggiato” per la questione Cosentino. Diversa, invece, la sorte di Verdini: “Tu resti dove stai, non pensare a dimetterti”. Non che Verdini ci avesse pensato sul serio (come aveva fatto quando chiese di diventare ministro dello Sviluppo per avere lo scudo del legittimo impedimento), ma ora ragioni di opportunità potevano convincerlo al passo indietro. Berlusconi, però, è stato netto: nessuna retromarcia. Soprattutto davanti a Fini. Non si “può far vedere che facciamo come dice lui”, avrebbe risposto il Cavaliere a chi gli ha ricordato dell’ultimo scontro tra il presidente della Camera e Bondi: botte da orbi con un passaggio – che guarda caso – aveva avuto come pretesto proprio Cosentino, di cui Fini aveva chiesto (e ottenuto) la testa nei giorni della campagna elettorale regionale. E che pochi giorni fa, proprio con Bondi, aveva nuovamente impallinato: “Ma è mai possibile – aveva incalzato Fini – che Cosentino sia ancora sottosegretario?”. Già. Per Verdini, però la partita appare diversa dall’ormai solo sottosegretario all’Economia che ieri ha tentato la difesa d’ufficio: “Sono stanco di queste accuse surreali e dell’uso politico della giustizia”. Cosentino lasciato solo, dunque, forse addirittura mollato dal Cavaliere che potrebbe non blindare i suoi al momento della sfiducia, anche se l’idea sembra quella di proseguire con il “modello Brancher”, ovvero fare in modo che Cosentino si dimetta prima.
Il problema è rappresentato dal “solito Fini”. Che vuole “tutto il marcio, la P3” fuori dal Governo e Pdl “prima di subito”. A scatenare il tutto ci aveva pensato in mattinata Italo Bocchino. Che con il candore tipico di chi ne sa di più, aveva invitato Verdini alle dimissioni, per via di verbali in arrivo che toglierebbero ogni dubbio sul suo coinvolgimento nella vicenda giudiziaria. Bondi e Cicchitto hanno difeso a spada tratta Verdini e anche se subito dopo Bocchino ha chiarito di essersi riferito “agli atti dell’ordinanza di custodia cautelare verso Carboni e soci”, l’ennesimo scontro tra finiani e berluscones stavolta ha lasciato davvero il segno.
Nelle foto da sx: Nicola Cosentino e Marcello Dell'Utri

TOGHE VERDINE



di Marco Travaglio

Chissà che fine han fatto gli inventori di fortunate cazzate Gallidellaloggia e i Pollidelbalcone sono letteralmente scomparsi, proprio ora che gli allegri conversari chez Vespa e chez Verdini dimostrano che l’uso politico della giustizia esiste eccome. Solo che lo fanno il governo o i suoi manutengoli. Il colore delle toghe politicizzate è l’azzurro-Verdini, il marron-Dell’Utri, il nero-Carboni/Carbone, come nella Prima Repubblica era il bianco-Andreotti, il rosé-Craxi, il grigio-Previti, il giallo-Gelli. Battaglioni di giudici furono trovati nelle liste della P2 o sul libro paga di Cesarone. Insabbiavano inchieste, aggiustavano processi, compravendevano sentenze, annullavano condanne di mafiosi per un timbro un po’ fané. Eppure – anzi proprio per questo – mai un’ispezione ministeriale, un’azione disciplinare, una convocazione al Csm, un dossier dei servizi, un attacco dalla stampa di regime. Queste persecuzioni spettavano di diritto ai giudici davvero indipendenti, bollati e perseguitati come “pretori d’assalto” e “toghe rosse”. Ora la storia si ripete, nella beata indifferenza dei garantisti da riporto e dei pompieri della sera. La signora Augusta Iannini in Vespa, collaboratrice di governi di destra e di sinistra, apparecchia cene per il premier plurimputato B., il banchiere plurimputato Geronzi, il sottosegretario indagato Letta e cardinali assortiti, ma la cosa non sembra interessare il Csm che dovrebbe tutelare l’indipendenza della magistratura non solo dalle minacce esterne, ma dagli inciuci interni. Vincenzo Carbone, fino al mese scorso primo presidente della Cassazione, fu nominato dal Csm sebbene insegnasse da anni all’Università di Napoli con doppio stipendio all’insaputa dell’organo di autogoverno: ora si scopre pure che dava del tu al traffichino del clan Carboni, il geometra avellinese Pasqualino Lombardi, che lo apostrofava “preside”, gli chiedeva di anticipare l’udienza su Cosentino, gli preannunciava telefonate di Letta e avvertiva gli amici che “con quello lì stiamo a posto”. Lui, come si conviene agli alti magistrati, rispondeva “statte ‘bbuono” e all’alba dei 75 anni s’interrogava: “Chi faccio dopo la pensione?”. Paqualino Settebellezze lo rassicurava: “Tranquillo, ne sto parlando con l’amico di Milano”. Ancora una settimana fa Carbone era candidato alla Consob. Uno come Lombardi che in un altro paese faticherebbe ad entrare in un bar sport discettava con gran familiarità della sentenza sul lodo Alfano con il presidente emerito della Consulta, Cesare Mirabelli, detto “’o professò”: “La donna della Consulta è amica sua, possiamo intervenire su questa signora? Mi stanno mettendo in croce gli amici miei, che poi sono anche amici suoi…”. E garantiva sul voto di Mancino, vicepresendente del Csm, per la nomina di Marra detto “Fofò” a presidente della Corte d’Appello di Milano. Missione compiuta. Marra si riuniva chez Verdini con i faccendieri Carboni e Lombardi e i giudici Martone e Miller, quest’ultimo capo degli ispettori ministeriali che da anni perseguitano i pm dipinti come politicizzati proprio perché non lo sono. Ieri Martone ha finalmente lasciato la toga dopo aver presieduto addirittura l’Anm. Ora si spera che il Csm vice presieduto da Mancino accompagni alla porta anche Marra e Miller, e reintegri al loro posto De Magistris, la Forleo e i pm salernitani Nuzzi, Verasani e Apicella. Già perché questi giudici onesti sono stati sterminati l’uno dopo l’altro dagli ispettori (Miller), dalla Procura della Cassazione (Martone) che attivava le azioni disciplinari, dal Csm (Mancino e Carbone) che condannava e dalle Sezioni Unite (ancora Carbone) che confermavano le condanne. Ora l’Anm cade dal pero e ammonisce: “Non vogliamo magistrati contigui al potere”. Che riflessi, ragazzi. Che faceva l’Anm mentre plotone di esecuzione delle toghe contigue al potere fucilava quelle non contigue al potere, a parte applaudire i fucilatori?
Nella foto: Denis Verdini coordinatore nazionale Pdl

8 lug 2010

IL GOVERNO DEI PICCHIATORI



I terremotati bastonati a Roma dalla polizia
L’Aquila muore, le bugie di Berlusconi non reggono più
Rissa anche alla Camera, il Pdl perde la testa


di Enrico Fierro

Il 7 luglio 2009 (esattamente ieri un anno fa, ndr) verrà ricordato nella storia come il giorno della vergogna di Silvio Berlusconi e del suo governo. Hanno usato la tragedia di un popolo intero, i suoi lutti, le sue ferite, le sue lacrime e trasformato il terremoto in un set televisivo. Una perenne televendita sugli effetti miracolosi del governo del fare. Ma quando gli sfondi azzurri della fiction sono venuti via sono rimaste, tutte intatte, come nel primo giorno, le macerie di una città agonizzante. E i volti della sua gente, gli uomini e le donne, gli anziani e i giovani, cui era stato promesso di tutto, case, sviluppo, lavoro, cultura. Sono gli abruzzesi, li hanno depredati di tutto, anche del diritto al futuro. Lo champagne, le inaugurazioni di regime, i sorrisi e le battute di Berlusconi sulle macerie andavano bene per l’Italia distratta, non per il popolo dei terremotati. Che da mesi ha capito: peggio del terremoto è l’inganno di una ricostruzione fatta a misura della propaganda di regime e degli interessi delle cricche. Volevano risposte, gli aquilani, e le cercavano sotto Palazzo Grazioli, la reggia del sultano. In quelle stanze rallegrate da musici da quattro soldi, faccendieri-lenoni come Giampi Tarantini, subrettine alla ricerca de una comparsata, escort felici di rotolarsi nel lettone dell’amico Putin, non c’è spazio per loro e per l’Italia vera, quella dei mille disagi. E allora giù bastonate, scudi in faccia, calci. Ai terremotati, al loro sindaco e ai parlamentari. La fiction berlusconiana è alle ultime puntate, ora le buffonate di regime lasciano il posto al manganello.
nella foto:

MANIFESTAZIONE AQUILANI TERREMOTATI A ROMA



mercoledì 07 luglio 2010, 19:27 Aquilani in piazza, tafferugli: due feriti Letta: "Dilazione delle tasse in 10 anni" Migliaia di abitanti dell'Aquila protestano a Roma. Tensione con le forze dell'ordine quando il corteo tenta di forzare il blocco per arrivare a Montecitorio: ferito un giovane. Di Pietro cavalca la protesta: "Rivolta sociale alle porte". Bersani fischiato contestato dalla folla: "Buffoni, ci avete lasciato soli". Sfondato un blocco in via del Plebiscito, presidio sotto casa del premier. Maroni: "Riunione d'emergenza per stabilire le responsabilità negli scontri". Poi Gianni Letta annuncia la novità -

ROMA: rabbia e tensione durante il corteo degli abitanti delle zone colpite dal terremoto: scontri tra i manifestanti e le forze dell'ordine. Sono arrivati a Roma in 5000 con i pullman, le auto private. La maggior parte esibiva bandiere nere e verdi, nero per il lutto, verde per la speranza. È la bandiera de L’Aquila. Il senso della protesta a Roma lo ha spiegato il sindaco del capoluogo abruzzese colpito dal terremoto il 6 aprile 2009. "Dal primo luglio - ha detto - stiamo ripagando le tasse. Quelle che ci erano state sospese lo scorso anno le dobbiamo pagare in 60 mesi, questo vuol dire che gli abitanti del 'cratere' pagheranno allo Stato italiano 250 milioni di tasse. È un omicidio premeditato e per questo siamo venuti a protestare. Inoltre la ricostruzione è bloccata perché i soldi non ci sono". I manifestanti hanno esibito inoltre cartelli contro il governo e i suoi principali esponenti. "Onna distrutta e tassata", si leggeva su uno striscione, "Chiodi non pazzia", si leggeva su un altro. Scontri con la polizia Ma fin dall’inizio la tensione era percepibile. Infatti pochi minuti dopo l’arrivo del grosso della manifestazione, un gruppo di manifestanti ha tentato di sfondare il posto di blocco delle forze di polizia tra piazza Venezia e via del Corso. Qui un ragazzo è rimasto ferito da una manganellata. Il corpo a corpo tra manifestanti e polizia è proseguito poi all’incrocio tra via del Corso e via di Pietra, dove le forze dell’ordine hanno allestito un altro blocco. Alle 12,35, finalmente, anche questo posto di blocco è stato rimosso e i manifestanti sono quindi arrivati all’imbocco di piazza Colonna sempre gridando slogan contro il Governo. Dopo una trattativa tra i manifestanti e le forze dell’ordine è stato rimosso il blocco e i manifestanti, quasi di corsa hanno cominciato a percorrere via del Corso. Al momento si contano due manifestanti feriti. Bersani contestato "Vergogna, buffoni, ci avete lasciati soli", cosi i manifestanti dell’Aquila hanno accolto il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, arrivato a piazza Colonna. I manifestanti hanno urlato che "l’opposizione ci ha abbandonato". Di Pietro: "Rivolta sociale alle porte" "Dobbiamo organizzare la resistenza, la strada per una rivolta sociale in Italia è alle porte rispetto a un governo sordo e cieco". Così il leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro che questa mattina a Roma ha incontrato alcuni cittadini abruzzesi che stanno manifestando per chiedere aiuti economici. Secondo Di Pietro oggi in Italia "non c’è un settore della società che è soddisfatto, tranne gli evasori e i malfattori". Sfondato blocco via del Plebiscito Un gruppo di manifestanti è riuscito a sfondare il blocco di sicurezza in via del Plebiscito, la strada che porta al Palazzo Grazioli, residenza del premier Silvio Berlusconi. Numerose persone sono rimaste contuse. Le forze di Polizia si sono riorganizzate poco lontano e nei pressi della casa del premier hanno organizzato un nuovo posto di blocco. Rinforzi di carabinieri, polizia e guardia di finanza in assetto anti sommossa sono giunti rapidamente nella zona, mentre i manifestanti scandiscono slogan contro il Governo. I manifestanti sventolano cartelli con la scritta "Più forti, meno gentili", slogan contro Berlusconi e decine di bandiere coi colori dell’Aquila. Urlano "Vergogna, vergogna". Poi i manifestanti si recano al Senato, fermati in piazza Navona.

nelle foto da sinistra: Il sindaco Cialente alla manifestazione a Roma e Vittorio Feltri direttore del quotidiano Il Giornale
pubblicato su Il Giornale

IL QUIRINALE SBAGLIA BERSAGLIO



Scudo per Napolitano, il Colle accusa il Fatto di “ambiguità”, invece di prendersela con il Pd

di Antonio Padellaro

E’ incredibile. Il Fatto scopre che alcuni senatori del Pd la stanno combinando grossa. Scrive che con il loro emendamento al Lodo Alfano delle impunità, per fornire al capo dello Stato uno scudo totale rispetto ai reati penali, rischiano di creare un grave imbarazzo a Napolitano. Chiede il perché di una simile iniziativa ai proponenti. Registra le opinioni opposte. Interpella il Quirinale. Il portavoce del presidente cade dalle nuvole. Scriviamo che anche a noi la cosa appare come una proposta improvvida fatta all’insaputa dell’interessato. Il giorno dopo gli zelanti senatori Pd sono costretti a ritirare l’emendamento. Alcuni riconoscono l’errore. Non ci aspettiamo certo ringraziamenti: abbiamo fatto solo il nostro mestiere. Ebbene, ieri mattina ci piomba addosso un irritato comunicato del Colle che accomunandoci al Giornale, che non ha perso tempo a ipotizzare chissà quali magagne presidenziali (fatti loro), ci accusa di essere “intervenuti ambiguamente sull’argomento”. La grancassa dei Tg completa l’opera. Sacrilegio: si è nominato il nome di Napolitano invano. Per il Quirinale, dunque, un giornale che dà le notizie si comporta “ambiguamente”. Siamo davvero messi male. Lo abbiamo già scritto e lo ripetiamo. Se gli scribi di Palazzo concepiscono un solo tipo d’informazione, quella disponibile solo a declamare esortazioni e moniti, per quanto ci riguarda, si rassegnino. Continueremo, tranquillamente, a raccontare tutto ciò che va raccontato. Facendo finta di essere un Paese normale. E non in una strana Repubblica dove vige la lesa maestà.
Nella foto: Antonio Padellaro

QUEI RIBELLI DEL SECOLO D’ITALIA TANTO ODIATI DA B.



Il quotidiano finiano da dove partono le battaglie interne al Pdl
di Paola Zanca

Chi l’avrebbe mai detto che è al piano terra di un palazzo di via della Scrofa, al civico 43, che si combatte la guerra più aspra contro Silvio Berlusconi. Redazione de Il Secolo d’Italia, ex quotidiano di Alleanza Nazionale. Il posto dove ad ogni provocazione, si producono risposte. Porta di alluminio bianca, open space con le pareti rivestite in legno. La sala di comando è la prima a sinistra. Ma qui l’aria che si respira è quella da grande famiglia. Porte aperte, muri pochi, andirivieni continuo. Al timone, Flavia Perina e Luciano Lanna. Colpo su colpo, portano avanti la loro battaglia per la “chiarezza”. Non vogliono sentir parlare di rese dei conti, di attacchi e faide. Semplicemente dicono che nelle loro sedici pagine non c’è spazio per “la panna montata”.
Vanno dritti al solo, convinti che sia necessario “eliminare gli infingimenti” e che sia “sciocco” usare il politichese quando c’è qualcosa di scomodo da dire. Al Secolo non piacciono “i retroscena”, i “dietro le quinte”. Perfino quando Libero, pochi giorni fa, li ha accusati di costare troppo e non servire a nulla, hanno replicato alle malelingue con un editoriale dell’amministratore delegato, il deputato Enzo Raisi: “Meglio che sia tutto chiaro – dice la Perina – così anche il dibattito politico diventa più corretto. Negli anni scorsi abbiamo fatto una ristrutturazione importante (in tre anni, un milione e mezzo di euro di passivo in meno, ndr) ma la polemica di Libero non è economica, serve solo a chiedere ‘a cosa serve il giornale’”.
Per capire di che giornale parliamo, basta guardare la prima pagina di ieri. Foto di Daniele Capezzone. Titolo: “Il giorno dei falchetti”. Di spalla: “Ghe pensi mì primo atto: e cade la testa di Brancher”. In basso: “Un Pdl sull’orlo della crisi di nervi”, cronologia dei pasticci della maggioranza dal 22 aprile a oggi. “L’abbiamo fatto perché in questi giorni c’è chi parlava di ‘un complotto’ dei finiani. Ma, voglio dire, Brancher non ce l’ha mica messo Fini!”.
Quella di oggi, di prima pagina, non sarà meno tenera. L’articolo di Annalisa Terranova smonta pezzo per pezzo l’ultimo messaggio – per nulla cifrato – che il capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto ha mandato al “suo” presidente: “Fini – dice Cicchitto – ha affermato di essere ispirato dal principio della legalità. Voglio ricordare che il Pdl è il partito garantista per eccellenza e chi non conosce questa opposizione, non conosce la natura stessa del Pdl”. La Terranova snocciola le controrepliche: “Giovanardi sul caso Cucchi era garantista quando diceva che era morto per anoressia? Gasparri era garantista quando diceva che, anche se fosse stato condannato, a Vincenzo De Gennaro andava data una medaglia per aver liberato Genova? E la Santanchè che difende il diritto di privacy dei mafiosi? Non si può fare i garantisti con Dell’Utri e non con un ragazzo che dormiva alla Diaz”.
Ultimamente, quando li vogliono offendere li chiamano “fascisti”. Ma loro hanno l’impressione che ai berluscones serva un ripasso di storia. “Ci hanno detto che ce ne andremo il 25 luglio – ricorda Lanna – ma in quella data del ’43 la minoranza costrinse Mussolini a lasciare…dov’è il paragone storico?” Altre volte li accusano di essere troppo “di sinistra”, come è successo a Filippo Rossi, direttore di FareFuturo e animatore di Caffeina. Non sono piaciuti gli ospiti che ha chiamato al festival in corso in questi giorni a Viterbo: “Mi facessero l’elenco di dieci scrittori che loro catalogano a destra. Io non voglio scegliere per casacche. Meglio la misticanza della militanza”.
Ieri, Amedeo Laboccetta, finiano tornato da Berlusconi, su Il Giornale ha scritto che i dissidenti “sono quanti le dita di una mano”. La Perina quell’articolo non l’ha letto, ma “la conta” non l’appassiona. “Eccesso di zelo degli ex An votati alla causa del Cavaliere – la chiama – E poi se i finiani sono così pochi perché non li ignorano?”. Il problema sono i contenuti. “L’alibi della congiura della minoranza – dicono in redazione – serve a nascondere gli attriti con il Quirinale sulle intercettazioni e quelli con Tremonti sulla manovra. Ma quelli ci sarebbero anche senza Granata&Co. Non sono i finiani a disorientare l’elettorato, sono i Brancher e gli Scajola”.
Al Secolo, le pareti della stanza della direzione sono tappezzate di asini: è il motto della redazione. Un’immagine dice “somari sempre”. A fianco, c’è appesa la copia di un articolo del Corriere della Sera di qualche mese fa.
Evidenziate in verde, due dichiarazioni di Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri.
Il primo dice: “Il Secolo? Io non lo leggo”. L’altro aggiunge: “Non parlo del Secolo, non intendo fargli pubblicità”. Diceva Sofocle che “ciò di cui ha bisogno l’uomo è la memoria dell’asino che mai scorda dove mangia”. Gasparri e La Russa forse se lo sono dimenticato.

7 lug 2010

SILVIO BRANCHERONI

di Marco Travaglio
Premesso che, come dice il sempre tempestivo Gianfranco Fini, il caso Brancher autorizzava “il sospetto che qualcuno entri nel governo perché non vuole andare in tribunale”; premesso che Quirinale, finiani, leghisti e Pd cantano vittoria per lo scampato pericolo; premesso che, come osserva il sempre acuto Pigi Battista sul Pompiere della Sera, “le dimissioni di Brancher chiudono bene una vicenda cominciata malissimo……Una nomina gravata dal ‘legittimo sospetto’ (battuta, ndr) di funzionare come scudo antigiudiziario”, “una vicenda dai risvolti poco limpidi” e una “caduta di stile” (che paroloni!) che si è chiusa con la prova che “il governo e il suo leader, quando vogliono, sono in grado di emendare i proprio errori”, insomma “ha fatto bene il premier, di ritorno dal Brasile, a suggerire a Brancher un’onorevole marcia indietro” con “un metodo di saggezza e moderazione”, e dunque complimenti vivissimi allo statista brianzolo che prima promuove ministro di Nonsisachè un ex pagatore di mazzette della sua azienda per sottrarlo alla Giustizia e poi, preso con le mani nella marmellata, anzi nella fogna, lo scarica senza chiedere scusa, anzi incolpando chi avrebbe “strumentalizzato” la nobile nomina impunitaria; ecco, tutto ciò premesso, siamo proprio sicuri che Brancher fosse l’unico che “entra nel governo perché non vuole andare in tribunale”? L’unico la cui nomina sia “gravata dal ‘legittimo sospetto’ di funzionare come scudo antigiudiziario” e costituisca “una vicenda dai contorni non limpidi” o addirittura, forse per così dire, parlando con pardon, “una caduta di stile”? Ecco, noi abbiamo con il “legittimo sospetto” che altri insigni rappresentanti del popolo ricoprano pubbliche funzioni non per “adempierle con disciplina e onore” (art.54 della Costituzione), ma per usarle “come scudo antigiudiziario”, insomma perché “non vogliono andare in tribunale”. Piacerebbe conoscere l’illuminato parere di Fini, di Battista e soprattutto del capo dello Stato sul caso del sen. Dell’Utri che ha dichiarato al Fatto: “A me della politica non frega niente. Io mi sono candidato per non finire in galera”. O su quello del sottosegretario Cosentino, sul cui capo pende un mandato di cattura per camorra già emesso dal gip e confermato dalla Cassazione, ma che non può essere eseguito perché la Camera si oppone. Se poi restasse tempo, questo scopritori dell’acqua calda, sfondatori di porte aperte e scalatori di discese potrebbero interrogarsi sul caso di un tipetto alto un metro e qualcosa che nel ’94 “scese in campo” perché “questo è il Paese che amo”, mentre privatamente confidava a Biagi e Montanelli: “Se non entro in politica finisco in galera e fallisco per debiti”. Dopodiché, animato da motivazioni così nobili, si fece (o si fece fare dall’apposito centrosinistra) 38 leggi su misura per non fallire per debiti e non finire in galera. E mantenne le promesse, tant’è che all’alba del 2010 è ancora a piede libero e non è neppure fallito. Negli ultimi mesi, come Brancher, ha bloccato col legittimo impedimento per sei mesi i suoi tre processi, sostenendo di non avere date disponibili per il tribunale di qui all’eternità. Ma nessuno gli ha mosso le obiezioni che Napolitano, Fini, Battista e il Pd hanno mosso a Brancher. E’ vero che Brancher non aveva alcun ministero da organizzare (era senza portafoglio, almeno senza il suo). Ma è pure vero che anche sul legittimo impedimento semestrale del tipetto è lecito qualche dubbio: le cronache, per dirne una, riferiscono che l’altro giorno, tra cantatine in francese e napoletano e raffinate barzellettine, ha animato fino alle 2 del mattino la festa a Punta Volpe per i 70 anni del socio Ennio Doris, presidente Mediolanum, quello che disegna cerchi sulla sabbia e ha appena ottenuto di aprire sportelli Mediolanum in ogni sede dell’Aci. Premesso che il premier impedito a vita trova il tempo per questa e altre festicciole, non sarà che quanti esultano per le dimissioni di Brancher ci stanno prendendo un tantinello per il culo?

ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA E I MANIFESTANTI MANGANELLATI



Il giornalista Ernesto Galli della Loggia, editorialista del Corriere della sera, forse non si rende conto di ciò che ha detto oggi a Sky, davanti alla diretta della manifestazione dei terremotati a Roma: “Se un corteo di Aquilani con intenti contestatari si dirigono verso la residenza privata romana del Presidente del Consiglio e davanti sono piantonati un centinaio di militari in difesa del premier, mano a mano che la pressione dei manifestanti aumenta, è chiaro che, ci si debba affidare all’uso del manganello”, questo sta a significare che anziché riconoscere l’assoluta inettitudine di Berlusconi a risolvere nei tempi promessi e sostenibili, il post terremoto de L’Aquila, prevenendo così il raggiungimento del grado di disperazione che ha portato questi cittadini a marciare sulla capitale, giustifica invece l’atteggiamento violento delle forze dell’ordine e le difende alla scelta dell’uso del manganello.
Prevenire è meglio che curare e soprattutto “giustificare” l’uso improprio dei manganelli, non è mai stata una saggia decisione. Se si arriva alla manifestazione arrabbiata, e questo è un obiettivo che non si dovrebbe mai raggiungere, un motivo c’è ed è assolutamente legittimo come quello degli Aquilani che oggi pomeriggio hanno trovato botte da orbi anziché la disponibilità dei politici, e tutto solo per il semplice desiderio di ritornare alla propria vita di sempre, fermatasi alle 3 e 32 di quel maledetto 6 aprile 2009.

(agb)

6 lug 2010

per la serie "POLITICAL PIGSTY.....porcile a Palazzo" pubblichiamo una nuova vicenda del primo protagonista del porcile

La società del gruppo Fininvest ha come progetto ambizioso di creare un mega villaggio turistico in Sardegna sui propri terreni acquistati anni fa, ma a mettere il bastone fra le ruote ci sono riusciti i signori Paolo Murgia, Putzu ed Elido Bua, 3 pastori che da anni fanno pascolare il proprio gregge di pecore sui terreni del berlusca. La cosa che sicuramente ha fatto imbestialire i vertici della società è il fatto che i 3 pastori hanno rivendicato la proprietà dei terreni per uso capione inviando i documenti al Tribunale di Tempio Pausania che ha dato ragione ai tre allevatori.

Il 28 ottobre del 2009 il Tribunale ha certificato la proprietà del terreno della superificie catastale di 85.736 mq, in località Cugnana, al pastore Elido Bua. Altri due pastori della zona nei giorni scorsi sono riusciti ad ottenere con lo stesso metodo un’altra porzione di terreno della dimensione di 83.156 metri quadri valutati al catasto 71.531 euro.

Nonappena la società Edilizia Alta Italia riesce ad ottenere le concessioni edilizie per poter iniziare i lavori, arriva il signor Paolo Murgia che, con il suo classico ricorso al Tribunale, riesce a bloccare i lavori. Secondo il pastore, i terreni li ha sempre sfruttati lui con il pascolo delle pecore. A furia di battaglie in Tribunale, la società Edilizia Alta Italia ha dovuto svalutare i propri terreni in Costa Smeralda di più di 13 milioni di euro.
(grazie al blog spettegola.com)

BAVAGLIO, TUTTO DA BUTTARE



di Luigi De Magistris
Appello ai finiani: se hanno veramente a cuore la giustizia, la sicurezza e la libertà, chiedano il ritiro immediato del ddl oppure dichiarino subito di non votarlo. Lo stato di diritto non si baratta.

Con la legge “bavaglio” il governo e la sua maggioranza servile – in piena performance piduista – prendono due piccioni con una fava: mettono il guinzaglio alla magistratura e alle forze dell’ordine e la museruola ai giornalisti. Vogliono un Paese ignorante e drogato. I fatti, soprattutto se descrivono storie di criminalità, non si devono sapere. Sognano una magistratura prona ai poteri forti e mezzi d’informazione megafono del regime. Questa legge è immorale e gronda di incostituzionalità. Non è emendabile, in quanto in contrasto con i principi fondamentali dello Stato di diritto e con molteplici norme costituzionali. E’ una legge criminogena. Dolorosamente pensata e voluta per favorire criminali, mafiosi e corrotti di Stato, colletti bianchi (anche se sporcati dal sangue innocente di servitori dello Stato). Contro questa ennesima vergogna che impone la censura e il silenzio di Stato è necessaria la resistenza e la disobbedienza civile. Stanno nuovamente attentando alla Costituzione sovvertendo, con l’abuso del diritto, la stessa democrazia. Non è più accettabile l’ipocrisia di quelle componenti politiche della maggioranza che fingono di smarcarsi dalle leggi eversive volute dal peronista capo del governo. In primo luogo la cosiddetta componente finiana. Se hanno veramente a cuore la giustizia, la sicurezza e la libertà chiedano il ritiro immediato del provvedimento oppure dichiarino subito di non votarlo. Lo Stato di diritto non si baratta. E’ inutile far credere al Paese che grazie alla loro mediazione il testo legislativo verrà migliorato: si tratta di una legge “porcata” e tale rimane non può essere aggiustata è infetta da virus mortale. Questo è il momento di decidere da che parte stare: con le guardie o con i ladri. Per ora si sono genuflessi ai ladri di Stato e ai predatori della democrazia. Identica musica stonata proviene dalla Lega. Gli stessi che urlavano la mafiosità di Berlusconi e imprecano contro Roma ladrona e il sud criminale. Da quando sono al potere e siedono anche al Viminale, con un ministro dell’interno leghista doc (oltre che pregiudicato) stanno approvando una miriade di leggi che favoriscono ladri di soldi pubblici, consolidano la corruzione, incentivano truffe e ruberie varie. Oltre che razzisti, sono divenuti, con il tempo, costola indispensabile di un disegno proteso a consolidare la penetrazione delle mafie nelle istituzioni, nell’economia e nella finanza. Pdl e Lega sono un’unica cosa quando si tratta di approvare leggi pro-furbetti e pro-criminali. Dimostrino Fini e Bossi di possedere ancora uno spicchio di dignità politica e di non essere completamente al guinzaglio del loro padrone.
da Il Fatto Quotidiano
nella foto LUIGI DE MAGISTRIS

TRA VENETO ED EMILIA E’ GUERRA ALL’ULTIMA MISS



Zaia vorrebbe portare a Jesolo il concorso di bellezza per eccellenza: pronti due milioni di euro


di Carlo Tecce

Do femene a ne séola fa un marcà. Il proverbio veneto s’accontenta di due femmine per fare un mercato. Il governatore Luca Zaia immagina centinaia di modelle per fare turismo. “Ah le miss! Così aiutano il commercio della Pedemontana”, gongola l’assessore Marino Finozzi. Il Veneto è in passerella, pardon, in corsa per strappare a Salsomaggiore (Parma, rossa Emilia Romagna) le finali di Miss Italia. Non è l’ultima moda estiva, le sfilate nascondono un progetto, anzi l’egemonia padana dei concorsi di bellezza italiani. L’allora vicepresidente Zaia conquistò – siamo nel 2006 – la fase preliminare di Miss Italia, un antipasto dal conto salatissimo per la Regione: 570mila euro, infilati nella delibera di un primo agosto. L’espansione è veloce, ecco Miss Italia nel Mondo, invenzione della famiglia Mirigliani per premiare con fascia tricolore un’italiana nata, cresciuta e residente all’estero. Un premio alle origini. La domenicana Kimberly Castillo Mota ha vinto l’ultima edizione di Jesolo: alta, mora, nonno calabrese, studentessa di architettura. Madrina autoctona, ovviamente: Mara Venier (al secolo Provoleri) di Venezia. Una serata che è costata 780mila euro: alt, non equamente divisi, 230mila per la Regione e oltre 550 per il Comune di Jesolo. Bruscolini. Le ragazze hanno visitato Bassano del Grappa, il museo della Ceramica, villa Godi Maliverni e Piazza di Marostica. Il sindaco Francesco Calzavara annusa l’affare: “Soldi ben spesi! Vorrei ricordare che l’indotto per la nostra economia è ampio: alberghi, ristoranti e bar”. Altro che entusiasmo per Raiuno, quasi un fallimento: 3,5 milioni di spettatori per 18 per cento di share. Una nicchia per il canale ammiraglia. L’assessore Finozzi ha festeggiato Kimberly, ma per il ballottaggio di Miss Italia con Salsomaggiore rimanda al presidente: “Noi abbiamo schierato Zaia in persona. Ci tiene molto! Vediamo se i Mirigliani preferiscono l’Emilia Romagna oppure l’organizzazione del Veneto”. Questo è il lato B della Lega Nord, un partito federalista che sgomita per possedere come vanto – mica per feticcio – uno dei simboli popolari dell’Italia repubblicana, una Lega stanca di parodie locali stile Miss Padania: “A noi interessa poco l’etichetta: bene, dobbiamo ascoltare l’inno di Mameli. Dico di più: io sarei pronto a cantarlo”, rilancia Finozzi. A Salsomaggiore preparano le barricate per frenare l’avanzata dei veneti, in onore dei quarant’anni di Miss nella città termale. Spediscono in missione romana il sindaco, convocano i migliori avvocati per rivendicare un’opzione di contratto con la società Miren di Mirigliani: altri tre anni, non si discute. Dal Veneto cercano il compromesso: due a voi, poi tocca a noi. Chi offre di più? Zaia ha pronti 2 milioni di euro l’anno: “Grazie a Miss Italia la gente conosce Salsomaggiore. Noi vogliamo vincere il duello”, arringa l’imperterrito Finozzi. Guerra al Ducato di Parma, guerra totale con occhiolino di Patrizia Mirigliani: “Zaia è pure un bell’uomo…”. Forse un giorno a Sanremo scipperanno il Festival, tra due anni o tra dieci giorni sarà l’ora di Salsomaggiore.


IL MIO COMMENTO:

Sin dai tempi antichi, erano le donne che con il loro carattere responsabile e pragmatico, venivano spesso chiamate ad amministrare l’economia domestica di una famiglia, maturando così, col tempo, un senso naturale e profondo del risparmio, risultato a cui un uomo poteva giungere solo attraverso un grande sforzo ed imponendosi inevitabili distrazioni economiche dettate da vizi o leggerezza. Dunque lasciare nelle mani di una donna la gestione economica di una Regione, non potrebbe che essere un vantaggio. Difficilmente, in un periodo di deficit economico come questo, dai budget ridotti ai minimi termini, si penserebbe di strappare uno spettacolo a Salsomaggiore, che per quanto possa avere forte richiamo turistico ed essere ritenuto un concorso di grande prestigio, sicuramente non comparirebbe nell’ordine del giorno di un consiglio regionale presieduto da una donna. Ricordiamo che il Veneto ha votato per Zaia che non è solo “uomo” ma è pure leghista.
Se poi quantifichiamo in termini economici, la cifra (2 milioni di euro) che Zaia (uomo molto brillante e generoso con i portafogli altrui) avrebbe deciso di stanziare per strappare a Salsomaggiore la manifestazione di cui la città termale ne è da sempre la scenografia designata, crediamo che sia veramente una “stronzata” pazzesca. Queste competizioni da boom economico, sarebbe bene che non le affrontasse in periodi così bui da provocare troppo spesso drammi causati da incalcolabili perdite finanziarie. Una donna, sarebbe sicuramente più parsimoniosa e di certo saprebbe distribuire col cervello e non col pisello le finanze di un popolo in crisi. Ma in Italia si continua ad offrire poltrone di prestigio e potere ancora agli uomini.

POLITICAL PIGSTY...... porcile a Palazzo


COLPI DI SCENA, RIBALTONI POLITICI, MINISTRI DIMESSI, CRICCHE SGOMINATE, SENATORI CONDANNATI, FESTINI POLITICI A LUCI ROSSE. QUESTO ED ALTRO ANCORA SU : "POLITICAL PIGSTY.....porcile a Palazzo"......IL DIVERTENTISSIMO REALITY ITALIANO PIU' SEGUITO DAI NETWORK DI TUTTO IL MONDO. NON PERDETEVI LE PUNTATE DI QUESTA SETTIMANA! ;-)))))

SCIOPERO SI’, SCIOPERO NO



I dubbi di Travaglio hanno aperto un dibattito se è giusto “auto-imbavagliarsi” per protesta

di Stefano Caselli

Che fare? A tre giorni dall’ora X la stampa italiana si interroga su una questione tanto elementare quanto delicata: ha senso ridursi al silenzio contro una legge che ha nel suo dna proprio questo obiettivo? Lo ha scritto nei giorni scorsi sulle colonne del Fatto Quotidiano Marco Travaglio: “Siamo sicuri che la forma di protesta più efficace sia autoimbavagliarci per un giorno?”. Un concetto ribadito con forza da Paolo Flores D’Arcais: “Che senso ha, contro la legge bavaglio, imbavagliarci da soli? Di fatto succederà questo: non usciranno i giornali più o meno democratici – scrive Flores sul sito del Fatto – usciranno invece, in situazione di monopolio, i giornali che della soppressione dei fatti (…) hanno fatto ormai la loro ragione sociale ed esistenziale. Per cui daremo vita al seguente paradosso: una giornata per la libertà del giornalismo che regalerà per quel giorno l’intera opinione pubblica ai nemici di detta libertà”.
Un concetto che, indipendentemente dalle motivazioni che lo ispirano, ha generato discussioni in molte redazioni. La direzione del Corriere della Sera, ieri, ha proposto al Cdr di uscire ugualmente, con un’azione forte sul tema delle intercettazioni, sul diritto di cronaca e la libertà di stampa, editoriali e supplementi su indagini e scandali, che con la legge bavaglio in vigore, non sarebbero mai stati comunicati all’opinione pubblica. In un primo momento il Cdr era sembrato possibilista: “E’ una proposta non ancora formalizzata – dichiara Andrea Nicastro – bisognerebbe verificarne la fattibilità e capire se una forma di protesta alternativa a quella già decisa sia più efficace”. In serata, però, è arrivato il rifiuto: “L’assemblea dei delegati – ancora Nicastro – ha respinto la proposta. Troppo tardi; il rischio di rompere il fronte Fnsi, che avrebbe indebolito irrimediabilmente lo sciopero, non era scongiurabile. Oggi faremo un’assemblea dando per scontata la nostra adesione allo sciopero”.
Di un numero speciale, sul modello di quello proposto da Ferruccio De Bortoli, si discute anche a Torino. Il direttore de La Stampa Mario Calabresi ha chiesto al Cdr di riflettere sull’opportunità di disertare le edicole: “Sono molto perplesso sull’opportunità di questo sciopero – dichiara Calabresi – non ha senso imbavagliarci da soli; non ha senso, dopo che il presidente del Consiglio ha invitato i cittadini a non comprare i giornali, eliminarci da soli. E poi gli scioperi si fanno in contrapposizione agli editori, che in questo caso sono danneggiati al pari dei giornalisti. Mi auguro che da qui a giovedì si trovino soluzioni alternative, magari con un accordo tra Fnsi e Fieg. E’ fondamentale non andare in ordine sparso, sarebbe controproducente”. In via Marenco ne discuteranno oggi, ma è assai improbabile che si decida di assecondare le richieste del direttore, che comunque si è impegnato a rispettare le decisioni del cdr: “Faremmo la firgura dei fiancheggiatori di Berlusconi”, è l’opinione di più di un giornalista.
Nessun ripensamento nemmeno al Sole24Ore: “Noi non usciremo, abbiamo dato indicazioni chiarissime sulle modalità dello sciopero – dichiara Alessandro Galimberti del Cdr – e anche i supplementi del Gruppo usciranno con una foliazione ridotta del 20%. Certo, se ci fosse un buon motivo per dissociarsi, ne parleremmo; lo sciopero potrà non essere la forma più adeguata, ma al momento siamo d’accordo con la Fnsi, è una protesta estrema in un momento estremo”. Chi si trovi una forma alternativa è il desiderio di Gianni Riotta, direttore del Sole24Ore: “Il sindacato farà le sue scelte che andranno rispettate, tuttavia sarebbe bello uscire tutti insieme, dopo un accordo, con due-tre pagine che ospitino le più grandi firme italiane. Dobbiamo fermare questa legge che, come ha ben spiegato l’avvocato Malavenda, non solo è pessima ma non potrà mai funzionare e non resisterà al giudizio della Corte Costituzionale. In questi casi la guerra di movimento è sempre più efficace della guerra di posizione”.
Stessa situazione a Repubblica. Da parte della direzione non è giunta alcuna richiesta di modificare la forma di protesta: “Repubblica non sarà in edicola – racconta Claudio Gerino del Cdr – altre iniziative si potevano valutare, ma al momento non ci sono. E poi – conclude – non è affatto detto che oltre allo sciopero di giovedì non si possa pensare a qualcosa di diverso e incisivo. C’è tempo fino al 29”.
Sciopero fuori discussione anche all’Unità: “Lo sciopero – dichiara il condirettore Giovanni Maria Bellu – è una decisione sindacale, ogni cambio di rotta deve necessariamente passare da chi lo ha promosso. Il giorno del silenzio ha prima di tutto un valore simbolico: ridursi al silenzio è un modo per comunicare ai lettori quanto sia brutto rimanere senza informazione.

“SOLO IN QUESTO MODO POTREMO ESSERCI TUTTI”


Risposta di ROBERTO NATALE Presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana
di Fabio Amato
Sì allo sciopero, perché “solo in questo modo ci possiamo essere tutti”. Il presidente della Federazione nazionale della stampa, Roberto Natale, rivendica la legittimità della “serrata” contro il ddl intercettazioni e risponde a Marco Travaglio.
- Presidente Natale, trova ingiuste le critiche?
Credo che non sia vero che abbiamo lo sciopero come riflesso condizionato. Tanto è vero che l’ultimo sciopero organizzato dalla Fnsi risale al 2007, guarda caso proprio in protesta contro l’iniziativa dell’allora ministro della Giustizia, Clemente Mastella. Anzi, mai come ora il sindacato dei giornalisti ha dato prova di ricorrere alla fantasia per sostenere la propria iniziativa. Dalla manifestazione dell’ottobre scorso all’ultima contro la legge-bavaglio sono trascorsi mesi di appelli, incontri, volantini, giornali, siti e blog listati a lutto.
- Si poteva fare ancora di più?
L’Fnsi può essere considerata responsabile solo per se stessa. Ci sentiamo però di ascriverci il merito di avere creato uno schieramento così largo e di avere modificato alcune importanti posizioni, tra cui quella di una parte del centrosinistra che, come testimonia appunto la legge Mastella, tre anni fa aveva un atteggiamento di fastidio nei confronti della stampa. Ci auguriamo che questo sostegno continui anche qualora dovesse tornare a governare il Paese.
- Questo non serve a spostare Berlusconi, però.
Mai come oggi la nostra battaglia è circondata da tanta simpatia e sostegno. Nonostante si ostini a dire che il 95% degli italiani teme di essere intercettato, oggi il presidente del Consiglio è in difficoltà.
- Molti, dallo stesso Travaglio a Flores d’Arcais, fino all’appello di Valigia Blu, sottolineano il paradosso di mettersi il bavaglio contro il bavaglio. Perché proprio lo sciopero, non si poteva fare altro?
Sono mesi che chiediamo alla Fieg di dare un segnale condiviso, per esempio una stessa prima pagina su tutti i giornali, ma la federazione non è stata in grado di garantire la stessa iniziativa per tutti.
- Sta dicendo che ci sono tensioni con la Fieg?
Con la Fieg i rapporti sono normali come lo sono quelli tra sindacato e Federazione degli editori. Non è questione di tensioni, semplicemente non è detto che ciò che è possibile per un giornale sia possibile per altri. Immagino la difficoltà di chi, dentro alla Federazione degli editori, deve mettere tutti d’accordo. Uscire gratis, ad esempio, è qualcosa che pochissimi giornali in Italia potrebbero permettersi in questo momento. Dare la deroga al Fatto Quotidiano significherebbe fare la stessa cosa poi con gli altri organi di stampa. E comunque questo non risolverebbe la partecipazione alla protesta delle agenzie e del settore radiotelevisivo.
- Lo sciopero come unica forma possibile?
E’ arrivato il momento di dire che la situazione è veramente grave. E in questa situazione più del gesto ha valore esserci tutti. E quando dico tutti voglio dire che per la prima volta partecipano veramente tutti i media. Uno dei segni più belli della condivisione di questa battaglia è vedere che assieme a giornali, televisioni e agenzie, anche i blog e i siti sono coinvolti per un unico scopo.

LA CANTATRICE CALVA



di Marco Travaglio

Si spera che nessuno voglia sottovalutare il drammatico allarme lanciato da Sandro Bondi dalle colonne di Repubblica. Il Pallore Gonfiato, eccezionalmente in prosa e non in endecasillabi sciolti, lacrima come una vite tagliata sulla vita grama dell’amato: “Sì – ammette singhiozzando – è difficile negare la solitudine politica del presidente del Consiglio”. Solitudine che la cantatrice calva non attribuisce, ci mancherebbe, ad un calo di consensi, a qualche errore, a una “debolezza politica” (Egli anzi è sempre più amato, infallibile e vigoroso), bensì alla sua “profonda estraneità alla cultura dominante”. Diciamo pure alla cultura, punto. In verità l’immagine del premier circondato da ballerine di lap dance nella recente visita di Stato in Brasile non somiglia molto al mesto ritratto che ne fa il ministro-poeta. Ma, se lui giura che il boss è solo, dobbiamo credere a lui. Il vate di Fivizzano non può dirlo, ma alla solitudine del Capo, più che i divorzi da Veronica e Fini, deve aver contribuito il venir meno dei suoi angeli custodi: prima Previti, falciato nel fiore degli anni da due condanne per corruzione giudiziaria; poi Brancher, prematuramente mancato all’affetto dei suoi cari per aver tentato di imitare l’Inimitabile – ah l’hybris! – profittando del legittimo impedimento in un processo (le leggi ad personam valgono solo per quella Personam lì, cribbio); e prossimamente, forse pure Dell’Utri che già si porta avanti col lavoro, rammentando l’eroismo di Mangano per far capire che lui, in galera, potrebbe non garantire la stessa tenuta stagna. Pare che persino Mastella, appena riapprovato a destra dopo varie tournée al centro e a sinistra, sia passato alla fronda. Corre addirittura voce che il fu Re Mida ora Re Merda porti jella: non bastando l’ennesimo rovescio della Nazionale azzurra sotto un suo governo, l’altro giorno ha fulminato anche il Brasile, che l’aveva incautamente invitato proprio in coincidenza coi quarti di finale. “L’Italia – osserva affranto James Bondi – è l’unico Paese in cui agisce e prospera una nomenclatura politica, istituzionale e culturale simile a quella di certi regimi comunisti nella loro fase di declino” (quelli del 1990-91, quando lui non a caso era sindaco comunista del suo paese). Sgomento al cospetto del “corto circuito della verità” e di quanto “utilizzano l’informazione come una clava contro gli avversari politici”, il nostro è un uomo distrutto. Ma pronto a tutto: se qualche anno fa, dinanzi alla minaccia di una legge sul conflitto di interessi (peraltro finta, provenendo dal centrosinistra), iniziò lo sciopero della fame e si disse disposto a lasciarsi morire nel caso in cui l’amato fosse toccato negli affetti più cari (i soldi), oggi porge il petto alle mitragliatrici dei traditori per fargli da scudo umano contro il “mondo vecchio, conservatore, venato da grossolane ipocrisie che purtroppo alligna anche nel Pdl”. Mentre i topi abbandonano alla chetichella la nave e persino le escort e le badanti si dileguano, James si propone come la versione moderna di Eva Braun nel bunker berlinese e di Claretta Petacci a Giulino di Mezzegra. Rimasto solo con l’oggetto del suo desiderio, affaticato dall’emergenza caldo, spossato dai viaggi in treno con cui percorre in lungo e in largo l’Italia per coordinare un partito che non c’è, deve fare tutto lui: devastare la cultura, rovinare il cinema, sventrare gli enti lirici, rincuorare Cosentino (resti sottosegretario per scongiurare “la vittoria del comunismo”). Ora gli tocca pure colmare col suo consunto corpicino l’incolmabile solitudine del premier. La struggente elegia si chiude con un’agghiacciante minaccia: quella di “una nuova rivoluzione berlusconiana”, dalle conseguenze incalcolabili. Non sappiamo ancora che cos’ha in mente, ma lui sì. Non resta che sperare che il Cavaliere respinga cortesemente le profferte bondiane: che insomma, dinanzi alla terrificante prospettiva di chiudere i suoi giorni su questa terra fra le braccia di un simile damo di compagnia, opti per il harakiri, o per l’aspide, o per la cicuta. Non appena gli avranno spiegato che roba sono.
(da Il FATTO QUOTIDIANO)
nella foto: Sandro Bondi