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7 lug 2010

SILVIO BRANCHERONI

di Marco Travaglio
Premesso che, come dice il sempre tempestivo Gianfranco Fini, il caso Brancher autorizzava “il sospetto che qualcuno entri nel governo perché non vuole andare in tribunale”; premesso che Quirinale, finiani, leghisti e Pd cantano vittoria per lo scampato pericolo; premesso che, come osserva il sempre acuto Pigi Battista sul Pompiere della Sera, “le dimissioni di Brancher chiudono bene una vicenda cominciata malissimo……Una nomina gravata dal ‘legittimo sospetto’ (battuta, ndr) di funzionare come scudo antigiudiziario”, “una vicenda dai risvolti poco limpidi” e una “caduta di stile” (che paroloni!) che si è chiusa con la prova che “il governo e il suo leader, quando vogliono, sono in grado di emendare i proprio errori”, insomma “ha fatto bene il premier, di ritorno dal Brasile, a suggerire a Brancher un’onorevole marcia indietro” con “un metodo di saggezza e moderazione”, e dunque complimenti vivissimi allo statista brianzolo che prima promuove ministro di Nonsisachè un ex pagatore di mazzette della sua azienda per sottrarlo alla Giustizia e poi, preso con le mani nella marmellata, anzi nella fogna, lo scarica senza chiedere scusa, anzi incolpando chi avrebbe “strumentalizzato” la nobile nomina impunitaria; ecco, tutto ciò premesso, siamo proprio sicuri che Brancher fosse l’unico che “entra nel governo perché non vuole andare in tribunale”? L’unico la cui nomina sia “gravata dal ‘legittimo sospetto’ di funzionare come scudo antigiudiziario” e costituisca “una vicenda dai contorni non limpidi” o addirittura, forse per così dire, parlando con pardon, “una caduta di stile”? Ecco, noi abbiamo con il “legittimo sospetto” che altri insigni rappresentanti del popolo ricoprano pubbliche funzioni non per “adempierle con disciplina e onore” (art.54 della Costituzione), ma per usarle “come scudo antigiudiziario”, insomma perché “non vogliono andare in tribunale”. Piacerebbe conoscere l’illuminato parere di Fini, di Battista e soprattutto del capo dello Stato sul caso del sen. Dell’Utri che ha dichiarato al Fatto: “A me della politica non frega niente. Io mi sono candidato per non finire in galera”. O su quello del sottosegretario Cosentino, sul cui capo pende un mandato di cattura per camorra già emesso dal gip e confermato dalla Cassazione, ma che non può essere eseguito perché la Camera si oppone. Se poi restasse tempo, questo scopritori dell’acqua calda, sfondatori di porte aperte e scalatori di discese potrebbero interrogarsi sul caso di un tipetto alto un metro e qualcosa che nel ’94 “scese in campo” perché “questo è il Paese che amo”, mentre privatamente confidava a Biagi e Montanelli: “Se non entro in politica finisco in galera e fallisco per debiti”. Dopodiché, animato da motivazioni così nobili, si fece (o si fece fare dall’apposito centrosinistra) 38 leggi su misura per non fallire per debiti e non finire in galera. E mantenne le promesse, tant’è che all’alba del 2010 è ancora a piede libero e non è neppure fallito. Negli ultimi mesi, come Brancher, ha bloccato col legittimo impedimento per sei mesi i suoi tre processi, sostenendo di non avere date disponibili per il tribunale di qui all’eternità. Ma nessuno gli ha mosso le obiezioni che Napolitano, Fini, Battista e il Pd hanno mosso a Brancher. E’ vero che Brancher non aveva alcun ministero da organizzare (era senza portafoglio, almeno senza il suo). Ma è pure vero che anche sul legittimo impedimento semestrale del tipetto è lecito qualche dubbio: le cronache, per dirne una, riferiscono che l’altro giorno, tra cantatine in francese e napoletano e raffinate barzellettine, ha animato fino alle 2 del mattino la festa a Punta Volpe per i 70 anni del socio Ennio Doris, presidente Mediolanum, quello che disegna cerchi sulla sabbia e ha appena ottenuto di aprire sportelli Mediolanum in ogni sede dell’Aci. Premesso che il premier impedito a vita trova il tempo per questa e altre festicciole, non sarà che quanti esultano per le dimissioni di Brancher ci stanno prendendo un tantinello per il culo?

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